Quando, come si è detto, non v’eran altre prove per
accertare la colpa di cui qualcuno era accusato, si ricorse dapprima al giuramento,
dato in forma solenne dal presunto reo, e, in tempi forse in cui il giuramento
era tenuto veramente sacro, bastava esso a purgare
– come si diceva – il reo. Ma col tempo i giudici divennero un po'
increduli, e pretesero che testimoni ossia compurgatori,
condividessero col reo la responsabilità del giuramento; la qual cosa non
fece che aumentare il numero degli spergiuri, senza far fare un passo in là
alla giustizia... tal quale come avviene oggi nei processi criminali.
Allora si ricorse all'intervento soprannaturale. Dio non
può permettere che chi è innocente soccomba. Egli dunque manifesterà il vero;
sottoporre un presunto reo a una prova straordinaria, e dall'effetto, dal modo
come è sostenuta, dedurne la manifestazione del giudizio di Dio, parve metodo
sicuro e infallibile.
I giudizi di Dio furono di due specie: purgazioni e
duelli. Le purgazioni consistevano nel subire una prova insensata e atroce,
come quella dell'acqua bollente, quelle del ferro arroventato o dell’acqua
ghiaccia, o del pane e cacio. Un documento curioso, riprodotto da monsignor Di
Giovanni in un'opera De divinis siculorum
offici e poi dal Gregorio, contiene il rito da seguire in queste prove di
purgazione; alle quali non soltanto era sottoposto l’imputato, ma, potevan
anche essere obbligati i testimoni. Il duello invece, era più adoperato fra'
nobili, ma meno anche da borghesi; sia fra le due parti in causa, accusatore e
accusato, sia fra l'uno dei due e un testimonio. La legge consentiva che uno o
tutti e due i contendenti si facessero rappresentare da un campione. L’età dei
combattenti o dei campioni, il giorno, il luogo, le armi, le forme, il rito del
duello erano minutamente prescritti.
Le leggi nostre prescrivevano anche i casi in cui era
ammesso il giudizio di Dio per duello; si possono desumere dalle consuetudini
della città di Trapani. Erano i delitti di lesa maestà, gli attentati alla vita
del re, la falsificazione della moneta, l’omicidio, il furto, la rapina, e in
generale qualunque altro delitto che, secondo i riti ordinari della giustizia,
avrebbe comportato la pena di morte o l’amputazione di qualche membro.
Questa volta la curiosità e l’aspettazione dei cittadini
di Palermo erano eccitate e legittimate dal fatto che accusatore era il Gaito
Pietro, eunuco, camerario del re Guglielmo, e già Almirante della flotta
siciliana all’impresa di Al Madhiah, malamente condotta tra il luglio e il
settembre di quell’anno; l’accusato era un giovane cavaliere Orsello di
Godrano, uno dei militi che avevan preso parte a quella campagna.
Il Gaito Pietro lo accusava di avere arbitrariamente
tenuto per sé, una fanciulla rapita durante una escursione nelle terre
africane, che avrebbe dovuto invece, come bottino di guerra, essere o venduta
nel mercato di Palermo, o attribuita da lui, capo dell’esercito, nella
spartizione della preda di guerra, come era suo diritto. Aggiungeva che Orsello
di Godrano, non aveva alcun diritto sulla schiava, non avendola conquistata per
forza d’arme, né comprata con suo denaro; essendosi invece servito delle armi
regie e del concorso dei suoi compagni.
Orsello aveva tacciato di mentitore e falsario il Gaito
Pietro; il quale aveva solennemente giurato sul Cristo, che quanto egli aveva
affermato era la verità.
- Che fede tu meriti, cuor di saraceno sotto le spoglie di
cristiano? – aveva risposto indegnato Orsello; – e che valore ha il tuo
giuramento, tu che sei due volte spergiuro?
Il Gaito Pietro infatti era un musulmano convertito al
cristianesimo. Aveva avuto nome Ahmed, ed era nato alle Gerbe, dalla tribù di
Sadghian. Preso fanciullo, condotto schiavo in Sicilia, venduto alla corte,
dove educato, abiurata la sua fede, battezzato Pietro, era entrato nel favore
del re, era stato emancipato; aveva ottenuto il titolo di caid o gaito, che aveva anche significato onorifico,
indipendentemente da ufficio; era divenuto amico dell’Ammiraglio degli
ammiragli Majone di Bari, camerario del re Guglielmo, capitano, favorito della
regina Margherita a molti della corte, e generalmente creduto pessimo
cristiano, e, in fondo musulmano ancora, e in relazione coi musulmani d’Africa.
La fanciulla disputata si chiamava Zoe, era di origine
greca, nata schiava. Majone l’aveva fatta togliere dal potere di Orsello, per
sentimento di giustizia, come egli diceva, e l’aveva affidata a Matteo de
Ajello, notaio del re, perché la tenesse in consegna fino alla soluzione della
contesa. Nessuno aveva veduto in volto Zoe, ma si diceva che era bellissima.
Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1100, al tempo di re Guglielmo I e di Matteo Bonello. Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia, nel 1911. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
Pagine 719 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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