martedì 21 aprile 2020

Luigi Natoli: Il giudizio di Dio. Tratto da: Gli ultimi saraceni.


Quando, come si è detto, non v’eran altre prove per accertare la colpa di cui qualcuno era accusato, si ricorse dapprima al giuramento, dato in forma solenne dal presunto reo, e, in tempi forse in cui il giuramento era tenuto veramente sacro, bastava esso a purgare – come si diceva – il reo. Ma col tempo i giudici divennero un po' increduli, e pretesero che testimoni ossia compurgatori, condividessero col reo la responsabilità del giuramento; la qual cosa non fece che aumentare il numero degli spergiuri, senza far fare un passo in là alla giustizia... tal quale come avviene oggi nei processi criminali.
Allora si ricorse all'intervento soprannaturale. Dio non può permettere che chi è innocente soccomba. Egli dunque manifesterà il vero; sottoporre un presunto reo a una prova straordinaria, e dall'effetto, dal modo come è sostenuta, dedurne la manifestazione del giudizio di Dio, parve metodo sicuro e infallibile.
I giudizi di Dio furono di due specie: purgazioni e duelli. Le purgazioni consistevano nel subire una prova insensata e atroce, come quella dell'acqua bollente, quelle del ferro arroventato o dell’acqua ghiaccia, o del pane e cacio. Un documento curioso, riprodotto da monsignor Di Giovanni in un'opera De divinis siculorum offici e poi dal Gregorio, contiene il rito da seguire in queste prove di purgazione; alle quali non soltanto era sottoposto l’imputato, ma, potevan anche essere obbligati i testimoni. Il duello invece, era più adoperato fra' nobili, ma meno anche da borghesi; sia fra le due parti in causa, accusatore e accusato, sia fra l'uno dei due e un testimonio. La legge consentiva che uno o tutti e due i contendenti si facessero rappresentare da un campione. L’età dei combattenti o dei campioni, il giorno, il luogo, le armi, le forme, il rito del duello erano minutamente prescritti.
Le leggi nostre prescrivevano anche i casi in cui era ammesso il giudizio di Dio per duello; si possono desumere dalle consuetudini della città di Trapani. Erano i delitti di lesa maestà, gli attentati alla vita del re, la falsificazione della moneta, l’omicidio, il furto, la rapina, e in generale qualunque altro delitto che, secondo i riti ordinari della giustizia, avrebbe comportato la pena di morte o l’amputazione di qualche membro. 
Questa volta la curiosità e l’aspettazione dei cittadini di Palermo erano eccitate e legittimate dal fatto che accusatore era il Gaito Pietro, eunuco, camerario del re Guglielmo, e già Almirante della flotta siciliana all’impresa di Al Madhiah, malamente condotta tra il luglio e il settembre di quell’anno; l’accusato era un giovane cavaliere Orsello di Godrano, uno dei militi che avevan preso parte a quella campagna. 
Il Gaito Pietro lo accusava di avere arbitrariamente tenuto per sé, una fanciulla rapita durante una escursione nelle terre africane, che avrebbe dovuto invece, come bottino di guerra, essere o venduta nel mercato di Palermo, o attribuita da lui, capo dell’esercito, nella spartizione della preda di guerra, come era suo diritto. Aggiungeva che Orsello di Godrano, non aveva alcun diritto sulla schiava, non avendola conquistata per forza d’arme, né comprata con suo denaro; essendosi invece servito delle armi regie e del concorso dei suoi compagni.

Orsello aveva tacciato di mentitore e falsario il Gaito Pietro; il quale aveva solennemente giurato sul Cristo, che quanto egli aveva affermato era la verità.

- Che fede tu meriti, cuor di saraceno sotto le spoglie di cristiano? – aveva risposto indegnato Orsello; – e che valore ha il tuo giuramento, tu che sei due volte spergiuro?

Il Gaito Pietro infatti era un musulmano convertito al cristianesimo. Aveva avuto nome Ahmed, ed era nato alle Gerbe, dalla tribù di Sadghian. Preso fanciullo, condotto schiavo in Sicilia, venduto alla corte, dove educato, abiurata la sua fede, battezzato Pietro, era entrato nel favore del re, era stato emancipato; aveva ottenuto il titolo di caid o gaito, che aveva anche significato onorifico, indipendentemente da ufficio; era divenuto amico dell’Ammiraglio degli ammiragli Majone di Bari, camerario del re Guglielmo, capitano, favorito della regina Margherita a molti della corte, e generalmente creduto pessimo cristiano, e, in fondo musulmano ancora, e in relazione coi musulmani d’Africa.
La fanciulla disputata si chiamava Zoe, era di origine greca, nata schiava. Majone l’aveva fatta togliere dal potere di Orsello, per sentimento di giustizia, come egli diceva, e l’aveva affidata a Matteo de Ajello, notaio del re, perché la tenesse in consegna fino alla soluzione della contesa. Nessuno aveva veduto in volto Zoe, ma si diceva che era bellissima. 


Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1100, al tempo di re Guglielmo I e di Matteo Bonello. Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia, nel 1911. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Pagine 719 - Prezzo di copertina € 25,00
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