venerdì 3 aprile 2020

Luigi Natoli: Il Cholera e la furia del popolo. Tratto da: I morti tornano...


In silenzio accanto a Giovanni, Andrea non sapeva che dire, perché dinanzi a quella morte così rapida assaporava la gioia di vivere e di sentirsi bene. Attraversarono la città. Andrea aveva bisogno di andare a casa sua a prendere qualche cosa, che Carlotta aveva dimenticato; e aveva indotto Giovanni ad accompagnarlo: tanto dovevano insieme risalire a Mezzomonreale col carretto del “curatolo” che li aspettava a Porta Nuova.
E via via che andavano per le antiche strade strette, opache, luride, si rivelava sempre più terribile la furia del mostro. Da un giorno all’altro l’orrore si centuplicava. I morti dopo dieci giorni dai primi due casi, toccavano il centinaio; ma gli attaccati erano quattro volte di più. E chi non era attaccato fuggiva, abbandonando anche i parenti negli spasimi di un’agonia spaventevole.
Essi vedevano qualche volta, attraverso la porta spalancata di un pian terreno, un disgraziato, solo, senza un cane, dibattersi per terra fra le sue reiezioni, rattrappito dai crampi, chiedere soccorso. Giovanni si sentiva stringere il cuore di pietà, e pensava a padre don Ciccio; ma Andrea lo trascinava pel braccio.
- Andiamo! andiamo! – diceva con voce soffocata dal ribrezzo e dalla paura.
Sbucando in una piazzetta udirono un clamore di voci che andava crescendo come lo scroscio dei marosi che si incalzano. Un rullìo di tamburi. E subito un fuggir di gente, un serrar frettoloso di porte e di botteghe. Poi, ecco una folla enorme di popolo. Scalza, cenciosa, arruffata: uomini, donne, ragazzi. Innanzi a tutti un omaccione, che agitava un cencio legato a una canna, come una bandiera; e accanto a lui un altro batteva un grosso tamburo. Oltre le teste, si agitavano convulsamente braccia armate di bastoni, di coltellacci, di sassi. Ora le voci si facevano più distinte: l’omaccione gridava:
- Viva Santa Rosalia! – E tutti ripetevano il grido con impeto d’ira e di vittoria insieme. Dai volti, dagli occhi, lampeggiava una gioia feroce e cupida di stragi.
Giovanni e Andrea si addossarono a una porta per lasciare passare quella fiumana procellosa; e quando quel torbido alfiere passò dinanzi a loro, una donna scarmigliata, sozza, stralunata, gridò:
- Ne abbiamo preso uno!... Li prenderemo tutti!.. Viva Santa Rosalia!
Seppero da uno della folla che avevano sorpreso un fontaniere arrampicato sul castelletto di distribuzione delle acque. Certo le avvelenava. E lo avevano ucciso a sassate. Gli avevano rotto la tempia. Giustizia, signori miei! Giustizia! non si avvelena la povera gente. Giovanni n’ebbe orrore, Andrea divenne livido.
Quando ripresero il cammino, rabbrividendo ancora, Andrea disse:
- Oh senti: questo è l’ultimo giorno che io vengo in città. Non voglio angustiarmi l’anima con questi orrori...
Ma Giovanni non l’udì. Camminava con un’aria dissennata, come uno, mal desto, ancora in preda a un sogno spaventevole. Quella furia di popolo, quelle grida forsennate che minacciavano altri scempi, altre scelleratezze, orrori sopra orrori, gli avevano sconvolto l’animo e sbalestrate idee e sentimenti; come un colpo di vento, che, entrato improvvisamente in uno studio, butta all’aria e disperde i foglietti, sui quali i pensieri erano stati esposti in ordine logico. L’immagine di padre don Ciccio, quelle dei suoi vecchietti nella vasta casa piena d’ombra, il dolor suo e quello dei suoi, sparivano sotto a quel colpo di vento, che disordinava violentemente il suo spirito. Che cos’era la vita di un uomo? che cosa il dolore di una famiglia? V’era qualche cosa più terrificante della morte; e v’era nel mondo un dolore più vasto, più profondo, più orrendo di quello di chi piange un caro estinto. E si sarebbe egli chiuso nella cerchia egoistica dei sentimenti famigliari?
Vide in quel momento, un ometto vestito di nero, entrare in un miserabile pianterreno senza esitare. Spinto da una curiosità inquieta, Giovanni si fermò davanti alla porta; e nell’ombra grave e putrida di quella squallida stamberga, potè scorgere quell’ometto inginocchiato dinanzi a un mucchio di paglia. Egli sorreggeva un coleroso in preda agli spasimi, e gli dava coraggio;  e in piedi una donna, lacera, sudicia, sbalordita dal dolore, muta e sgomenta. Poi l’ometto scrisse una ricetta e la diede alla donna, che mormorò con angoscia:
- Che ne faccio? con che pagherò la medicina?
E allora quell’ometto si tolse l’orologio e la catena d’oro, li diede a quella donna, e se ne uscì di fretta, senza dir parola. Giovanni si sentì meschino o vile dinanzi a quel gesto di carità grande e semplice, strinse il braccio di Andrea, e gli disse:
- Hai visto? Sai chi è quel medico? è il dottor Tranchina.
Ma Andrea si strinse nelle spalle:
- Certi eroismi, – disse, – sono pazzie. Il sacrificio del suo orologio non sottrarrà certo quell’uomo alla morte. E anche lo salvi, quell’uomo è uno, i colerosi centinaia. E il dottore non ha centinaia di orologi d’oro… E allora non ti sembra quel sacrificio sia inutile?
- Inutile? O dunque il non poter aiutare dieci, venti, deve impedirmi di aiutarne almeno uno? Deve impedirmi di asciugare una lacrima, di infondere un raggio di speranza, di far sentire un alito d’amore a uno?
Andrea fece un gesto ironico: e Giovanni si chiuse in un silenzio pieno di pietà e di sdegni. 



Luigi Natoli: I morti tornano. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera. Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1931
Copertina e illustrazioni di Niccolò Pizzorno. 
Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile in tutti i siti vendita online. 



"I morti tornano..." fa parte anche della raccolta "Trilogia del Risorgimento" che include i tre romanzi: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro, I morti tornano..., Chi l'uccise? 
Prezzo di copertina € 24,00


Nessun commento:

Posta un commento