La nave era uscita dal porto di Catana(1) con un
bel sole caldo di maggio. Era una bireme; ma sembrava fatta per diporto di una
persona nobile e lussuosa. In proporzioni ridotte, in parte pareva aver tolto a
modello la nave che Gerone(2) mandò in Egitto. Non v’erano certamente, come in
quella l’Afrodisio, e l’agora ed i giardini; le torri erano due, e la stiva
conteneva appena trentamila staia di frumento. Ma nel tutto era agiata. V’erano
quattro stanze e una saletta da pranzo, col pavimento a mosaico, la biblioteca,
con un letto da starvi comodamente per leggere; e sopracoperta, l’agora, che da
un lato aveva un portico e un giardino, se tale poteva dirsi una fila di vasi,
su cui spandevano l’ombra alberelli odorosi.
I rematori sedevano in duplice ordine, sotto
l’occhio vigile dell’esortatore armato di un bastone, minaccia alle spalle di
chi, stanco, lentava un istante di tuffare il remo; ma per il momento ciò non
sembrava necessario, perché tutti remavano di buona voglia.
La nave era diretta per Drepano (3). Il nobile
Cleone, centuripino, con la moglie Egle e il figlio Elio, si recava a Erice,
per sciogliere un voto a Venere Ericina. Cleone era ricco e splendido; la
conquista della Sicilia da parte di Roma l’aveva fatto ancora più ricco,
dandogli agio di acquistare nuove terre di quelle tolte ai vinti o sottratte
dal fisco ai possessori morosi. In tutta Centuripe(4) non c’era uno che non lo
conoscesse; l’agora, o piazza pubblica, come ancora si chiamava il foro nelle
città greche o ellenizzate, risonava del suo nome. Egli vi si recava circondato
e seguito da clienti, alla maniera dei Romani; ed erano moltissimi, chè la fama
dell’illustre patrono ne attirava a decantarne con enfasi la liberalità, la
giustizia, l’umanità e le altre virtù. E chi non conosceva direttamente Cleone,
lo vedeva ingigantito dalla cortigianeria di costoro.
La nave era sua: la teneva nel porto di Catana,
dove egli si recava quando occorreva recarsi a Messana(5) o a Siracusa o a
Lilibeo(6), e talvolta anche a Panormo (7). Quando egli non se ne serviva, il
suo navarca faceva il commercio dei grani o dei vini e dell’olio per conto di
Cleone.
Questa volta, dovendo imbarcare donne, il navarca
aveva ordinato grandi pulizie: aveva caricato le piante più odorifere, aveva
preparato gli appartamenti di Egle, messo in ordine il bagno, con la sua doppia
vasca di marmo pel calidario, e il frigidario; aveva ripulito il triclinio(8),
stropicciato i marmi, strofinato i bronzi, reso più lucenti le dorature; e la
nave sembrava rinnovata, più gaia, più festosa. Il viaggio importava una lunga
navigazione: Erice era all’altra estremità della Sicilia, e col buon tempo
sarebbe durato due giorni.
Egle, sposata a Cleone da cinque anni, non era
stata feconda; e Cleone, dopo aver desiderato invano per cinque anni un figlio,
nonostante l’affetto che sentiva per Egle, pensava già a divorziarne, quando
ella gli confidò che aveva avuto un sogno, di cui voleva la spiegazione dagli
indovini galeoti, che ancora esistevano nella città dell’antica dea Iblea.
Essi, che erano di origine sicula, godevano una famosa nomea di felici
interpreti dei sogni e di profeti. Se il loro nome ricorda quello dei
pescespada, come vogliono i critici moderni, gli antichi lo facevano derivare
invece da Galeote, figlio di Apollo: e attribuivano ad essi le facoltà
divinatorie, delle quali ebbero prova Dionisio e Gelone. Probabilmente essi se
la cavavano con responsi di interpretazione ambigua come quell’Ibis et redibis
non(9), famoso nelle scuole.
Luigi Natoli: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano ambientato nel 103 a.C. al tempo della seconda guerra servile.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Sonzogno nel 1936.
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