mercoledì 6 marzo 2019

Luigi Natoli: Don Galcerano Corbera conosce Giovan Giorgio Lancia. Tratto da: La dama tragica.

Con la spada sguainata fra i denti, le pistole in pugno, spronò il cavallo e si avanzò all’aperto, animosamente, gridando:
- Giovan Giorgio!... Io sono qui!...
- Guardatevi, signore! – gli rispose una voce.
Galcerano si ricordò della lettera. Istintivamente si voltò; vide due cavalleggeri, che staccatisi dai loro posti, e venendogli dai fianchi lo prendevano di mira con gli archibugi. Egli voltò il cavallo e lo impennò. Si udì a un tempo stesso una doppia scarica. Il cavallo di Galcerano diede un guizzo e cadde pesantemente trascinandolo nella caduta.
I banditi levarono un grido di vittoria;  i cavalleggeri, visto cadere il loro capo, credendolo morto, voltarono i cavalli e fuggirono nel bosco. Lo scontro durò appena mezz’ora.
Stordito dalla caduta Galcerano, che non aveva potuto, armato com’era, saltare in tempo, era rimasto un po’ privo di sentimento. La spada e le pistole gli erano sfuggite di mano; e una gamba gli era rimasta sotto il peso del cavallo. Ritornato in sè, e sentendo ancora dei colpi, credette che il combattimento continuasse, e cercò, ma invano, di liberare la gamba, imprigionata. Ma si vide attorniato da uomini armati che non erano certamente i suoi cavalleggeri, e che lo guardavano con aria minacciosa.
Uno di essi, che aveva una sciarpa rossa cinta ai fianchi, come un capitano, gli si avvicinò, e levatosi il cappello, gli disse:
- Vostra Signoria può dire d’averla scampata per miracolo. Spero che cadendo non si sia spezzata una gamba, e che possa rimontare a cavallo; non sul suo, perché la povera bestia ha preso le palle che toccavano a Vostra Signoria.
E voltosi ai suoi uomini ordinò:
- Su, toglietegli quel peso.
E intanto che quattro banditi afferrando il cavallo per le zampe e per la coda lo trascinavano da parte, Giovan Giorgio Lancia riprese:
- Vostra Signoria si contenti per ora di restar mio prigioniero. Non abbia alcun timore, che non le sarà torto un capello.
Galcerano s’era rimesso in piedi. La gamba era sana, ma così indolenzita che egli mal si reggeva, e dovette appoggiarsi al braccio d’uno dei banditi che l’avevano aiutato. Tuttavia le ultime parole di Gian Giorgio lo punsero: alzò il capo fieramente, e guardando negli occhi il bandito, disse con fierezza.
- Vi pare che io abbia paura?
- Vostra signoria, – disse il bandito, – è un giovane di gran coraggio. L’ho veduto. Ma io volevo rassicurarla soltanto di questo, che sarà rispettata, come merita il suo grado e il suo coraggio... E dico questo, perché le signorie loro, quando prendono qualcuno di noi, che pur ha dato prove di valore, lo impiccano, e credono di essere nel loro diritto: e se io usassi questa rappresaglia, eserciterei un diritto di guerra. Ma per questa volta invertiamo le parti. Vostra Signoria avrà veduto che nei militi della giustizia vi sono assassini peggiori di noi banditi.
Indicò con la mano i due cavalleggeri stesi per terra in una pozza di sangue.
- Ma i traditori vanno puniti! – conchiuse il bandito, battendo sul calcio dello schioppo.
Galcerano rivide balenare la scena; aggrottò le sopraciglia, e zoppicando si avvicinò ai cavalleggeri. Uno di loro era morto, l’altro agonizzava, e ogni tanto sbarrava gli occhi con una espressione di spavento. Galcerano si chinò su lui, e con voce iraconda gli domandò:
- Perchè mi volevi uccidere? perché?... Parla!...
Il moribondo lo guardò con terrore supplichevole; aprì le labbra come per parlare.
- Chi t’ha dato l’incarico?... Parla!...
- Il... il... – soffiò il cavalleggero rantolando.
- Il? – ripetè Galcerano con l’orecchio presso la bocca del moribondo, come per non perderne nessun lieve suono.
- Il s...
La voce si spense in un sibilo; diede un guizzo e reclinò la testa.
Galcerano sì rialzò, pallido, con la fronte madida. Guardò lo sciagurato, e dinanzi a quel volto sul quale si stendeva la calma solenne della morte, si scoprì e disse:
- Che il Signore ti perdoni!...
E a quell’atto, a quelle parole, tutti i banditi che si eran raccolti intorno si scoprirono e si segnarono divotamente; e il prete, postasi sul collo una vecchia stola, pronunciò le parole di rito, con una solennità di parola e una sincerità di sentimento, che contrastavano fieramente con le vesti e con l’aspetto. Nè s’accorgeva che quello strano miscuglio di pietà religiosa e di delinquenza erano un sacrilegio.


Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500, al tempo di Marco Antonio Colonna. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1920.
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