martedì 19 marzo 2019

Luigi Natoli: Fioravante ritorna... - Tratto da Fioravante e Rizzeri

Nei giorni che don Calcedonio trascorreva nell’ozio e nell’inerzia, andava a passeggiare al Foro Italico. La vista del mare lo confortava; quella distesa di un azzurro intenso, increspato qua e là dolcemente, che porgeva alla banchina gli orli di spuma, come trine di argento; quell’aria mite, propria del dicembre palermitano che è tanto bello quando la pioggia non lo turba; quel sole che nel tramonto aveva una fiamma più intensa, come se sapendo di essere condannato a sparire s’affrettasse a spendere nei suoi raggi tutto l’oro che aveva in serbo; quella pace nella solitudine che appagava l’animo suo, tutto ciò gli addolciva il tormento causatogli dalla scomparsa della figlia.
Che ne era? Dove? Come viveva? Possibile che avesse dimenticato quelli che l’avevano nutrita, allevata, fatta studiare vivendo a stecchetto, vestita come una signorina, stringendo di un punto sempre più la cintura a ogni sua nuova richiesta; era possibile che avesse dimenticato quelli che a furia di sacrifizi l’avevano posta in condizione di passare per quella che non era?
Passeggiando egli pensava, e l’occhio correva per lo spazio senza veder nulla. Una barca solcava lentamente l’acqua in vicinanza del lido silenzioso, un piroscafo entrava in porto; v’era della gente, ma non si vedeva e non si sentiva, per la distanza; era anch’esso silenzioso, usciva dalla Cala una tartana o feluca con le vele spiegate, gonfie dal venticello; usciva silenziosa e solenne. Qualcuno che incontrava, pareva non posare i piedi a terra; lo scalpiccio si perdeva nello spazio. Passò dinanzi a Villa Giulia: era deserta; i grandi alberi vegliavano sui viali abbandonati, e pareva che s’interrogassero: – Perchè?
A un tratto si accesero le lampade della luce elettrica; si accorse che era tardi ed entrò per S. Teresa; ma fatti pochi passi, vide accanto a una porta un tabellone, che alla luce di una lampada appariva simile a quelli che usava anche lui; divisi a quadri, coi soliti paladini, tra i quali era scritto: “Drusolina mette a Fioravante la manica del vestito per cimiero”.
- Toh! – disse fra sé – anche qui fanno la storia di Fioravante!
La vecchia passione si ridestò improvvisamente; non era per cacciare la noia che egli si fermava innanzi al cartellone, ma perché s’era dimenticato in quel momento di Lillì e delle proprie malinconie; lo aveva preso il desiderio di vedere in che modo quell’oprante svolgeva la storia di Fioravante. Un senso di rivalità e di gara gelosa lo spinse dentro il teatro, che volle vedere prima di tutto come fosse fatto. No, non era fatto come il suo; non aveva palchi; la bocca d’opera era stata dipinta da un imbianchino con quattro linee bianche e nere; il sipario rappresentava un cosiddetto panneggiamento. No, non lo ricordava neanche, il suo.
Cominciava la rappresentazione. Don Calcedonio in un batter d’occhio riassunse mentalmente tutto ciò che era avvenuto nell’intervallo tra l’azione svolta da lui e quella che si presentava sulla scena. I personaggi agivano e parlavano nella sua mente. Drusolina era alla finestra, e guardava distrattamente, quando gli occhi le si diressero sull’osteria. Ella vedeva dentro, nella cucina, e scorse a una tavola il cavaliere che desinava con l’oste. Le parve di riconoscerlo. Chiamò due gentiluomini e disse loro:
- Vedete voi quel cavaliere che mangia nell’albergo? Bene. Andate da lui, e pregatelo da parte mia, che venga, ch’io l’aspetto.
I due gentiluomini andarono. 
(Disegno del pittore Amorelli sul Giornale di Sicilia)



Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri. Romanzo moderno ambientato nella Palermo del 1920
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936
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