(1848) Un vero Comitato provvisorio della Piazza d’Armi, fu costituito in piazza Fieravecchia coi nomi del La Masa, di Giuseppe Oddo-Barone, barone Bivona, di Tommaso Santoro, di Salvatore Porcelli, di Damiano Lo Cascio, di Sebastiano Corteggiani, di Giulio Ascanio Enea, di Mario Palizzolo, di Pasquale Bruno, dei tre fratelli Cianciolo, di Giacinto Carini, di Rosario Bagnasco, di Leonardo Di Carlo, del principe di Villafiorita, di Giovanni Faija, di Rosolino Pilo, dei fratelli d’Ondes; ai quali poi si aggiunsero Salvatore Castiglia, Filippo Napoli, Ignazio Calona, Vincenzo Fuxa, il principe di Grammonte e qualche altro.
Il giorno dopo cominciarono ad arrivare le squadre dei dintorni, e si ripresero i combattimenti per espugnare i Commissariati e i posti avanzati, come quelli delle Finanze e della vicina gendarmeria. Intanto, essendo necessario provvedere ai bisogni della città e della rivoluzione, fu convocata, dal pretore marchese di Spedalotto, la municipalità con l’intervento dei membri del Comitato della Fieravecchia e di altri cittadini, e si convenne la costituzione di un grande Comitato, diviso in quattro Comitati minori, uno per la guerra e la sicurezza, presieduto dal Principe di Pantelleria, il secondo per l’annona, presieduto dal Pretore, il terzo per raccogliere le somme, presieduto dal marchese di Rudinì, il quarto per le notizie, la stampa, la propaganda, presieduto da Ruggero Settimo, il quale fu posto anche a capo del Comitato generale, con Mariano Stabile segretario. Si istituirono inoltre ospedali pei feriti nella Casa Professa dei Gesuiti e nei conventi di S. Domenico e Sant’Anna; il fiore dei medici offerse l’opera sua, gratuitamente. Due Commissioni, delle quali una di donne, attesero alla beneficenza. Si davano intanto disposizioni per le elezioni dei deputati al Parlamento, che si riapriva sulla base della Costituzione del 12, essendo stata respinta l’idea sostenuta dal Crispi e da qualche altro di un’Assemblea Nazionale, apparsa troppo radicale e perciò inadatta; e potè forse l’influenza dei nobili, che non volevan perdere il ritiro alla Patria. Le elezioni dei rappresentanti dei Comuni si svolsero nella prima metà di marzo; e il 25, festa dell’Annunziata, tra l’entusiasmo della città, il tonare delle artiglierie, lo squillare a festa delle campane, esso si inaugurò al tempio di san Domenico. Ruggero Settimo vi lesse un discorso, nel quale riassumendo l’opera del Comitato in circa due mesi e mezzo, e deponendo l’ufficio suo e dei colleghi, terminava invocando la benedizione di Dio sulla Sicilia, per congiungerla “ai grandi destini della Nazione italiana, libera, indipendente, unita”. Le due Camere s’adunarono in due grandi sale del convento di san Francesco, ed elessero Ruggero Settimo Presidente del Governo provvisorio; Stabile ministro degli esteri e del commercio; Riso, della guerra e della marina; Amari (lo storico) delle finanze; Gaetano Pisano, del culto e della giustizia; Calvi, repubblicano, dell’interno e della sicurezza; il principe di Butera dell’istruzione e dei lavori pubblici. Il Riso rinunciò alla carica, e in sua vece fu assunto Giuseppe Paternò, già colonnello di cavalleria nell’esercito regio. La rivalità fra Stabile e Calvi ruppe in dissidio: nessuno dei due sarebbe dovuto entrare nel ministero, per le prove negative già date.
Primo compito del governo avrebbe dovuto essere la formazione di un saldo esercito e di colonne mobili di Guardia Nazionale; quello per continuare la guerra e cacciare i regi dalla Cittadella, senza di che non poteva la Sicilia dirsi sicura; queste per la tutela delle provincie. Occorreva organizzare una polizia per dar la caccia ai malviventi liberati dal Governo borbonico anche dagli ergastoli del Continente, e fatti venire in Sicilia per mettervi l’anarchia...
Primo compito del governo avrebbe dovuto essere la formazione di un saldo esercito e di colonne mobili di Guardia Nazionale; quello per continuare la guerra e cacciare i regi dalla Cittadella, senza di che non poteva la Sicilia dirsi sicura; queste per la tutela delle provincie. Occorreva organizzare una polizia per dar la caccia ai malviventi liberati dal Governo borbonico anche dagli ergastoli del Continente, e fatti venire in Sicilia per mettervi l’anarchia...
(Dopo il 1848) Il prete Domenico Mastruzzi compose un fervido proclama,
che venne in potere della polizia; onde egli fu preso, e martoriato dal tenente
dei gendarmi De Simone, maestro di crudeltà; e mandato a giudizio con altri, ne
avevano condanna ai ferri. Ciò non impedì che si costituisse un comitato
centrale esecutivo, in relazione col comitato di Londra di cui era anima il
Mazzini, e fedeli interpreti Francesco Crispi e Rosolino Pilo, infaticabili
sempre; e coi comitati degli esuli di Genova, Marsiglia, Parigi e Malta: e già
concertata ogni cosa per insorgere, si provvedevano i mezzi finanziari, quando
per la troppa fiducia di uno dei cospiratori e di un prete, la polizia ebbe nelle
mani le fila della vasta trama: il prete, un tal Papanno, ottuagenario, ne morì
di cordoglio nelle prigioni, dove molti altri marcirono. Ma per venti
cospiratori arrestati, altri cinquanta sorgevano a prenderne il posto; ché i
processi mostruosi imbastiti su semplici indizi, e le prigionie crudeli e le
torture non sgomentavano e non intiepidivano i cuori.
Le
carte degli archivii contengono i nomi di questi generosi, molti dei quali noi
conoscemmo vecchi, semplici e modesti, vivere dimenticati nell'ombra, senza
vanterie e senza lamentele.
(1853)
Si costituivano qua e là comitati, e uno più numeroso in Palermo, con antichi e
nuovi elementi: del quale faceva parte G. Vergara di Craco, Luigi La Porta,
Salvatore Spinuzza, Francesco Bentivegna, Vittoriano Lentini, Enrico Amato,
Pietro Lo Squiglio, Mario Emanuele di Villabianca; e molti altri; v’entravan
pure i fratelli Sant’Anna, i fratelli Botta e di Termini il dottor Arrigo e
Giuseppe Oddo, da Girgenti i fratelli Grammitto. Mazzini incorava con le sue lettere
di fuoco; e l’opera di propaganda e di preparazione era andata così alacremente
innanzi, che s’aspettava per insorgere l’invio di quattrocento uomini, dal
Mazzini promessi per guidare la rivoluzione. L’annunzio del prossimo viaggio
del re Ferdinando arrestò il lavoro dei liberali, non le repressioni della
polizia; anzi, avendo essi, di notte, listato di sangue il servile proclama del
decurionato, che annunziava la venuta del re, il De Simone, il Pontillo e altri
uguali strumenti del Maniscalco furono sguinzagliati in caccia di quanti erano
sospetti amatori di libertà o secreti agitatori. E le carceri si empirono di
nuovi arrestati, che tuttavia sfidando i pericoli della rigida vigilanza,
corrispondevano coi compagni rimasti liberi.
(1856)
Il comitato s’era ricostituito per impulso di
Salvatore Cappello, e ne facevano parte Onofrio Di Benedetto, Tomaso Lo Cascio,
Salvatore Buccheri e Giacomo Lo Forte. Si era posto in relazione coi fratelli
Agresta di Messina, i fratelli Caudullo e Tomaso Amato di Catania, i fratelli
La Russa e Mario Palizzolo di Trapani, agitatori e anima anch’essi dei comitati
di quelle città: corrispondeva in Marsiglia con Rosario Bagnasco, in Malta con
Giorgio Tamaio e Fabrizi, in Genova coi fratelli Orlando, che lo mettevano in
relazione con Crispi, Rosolino Pilo e Mazzini.
(1859) Il comitato direttivo di Palermo si era in quei giorni ricostituito con
l’architetto Tomaso Di Chiara, col dottore Onofrio Di Benedetto, coi fratelli
Salvatore e Raffaele De Benedetto, Salvatore Cappello, conte Antonino Federico
e Salvatore Buccheri: ad esso facevan indi capo per legame con questo o con
quello dei membri, Giovanni Faija (non Emanuele o Antonino come altri
scrisse), Domenico Corteggiani, Andrea Rammacca, Giovan Battista Marinuzzi,
Rosario Ondes-Reggio, Giuseppe Campo, il barone Pisani, Martino
Beltrami-Scalia; e, allargandosi ancor più le fila, Francesco
Perrone-Paladini, Enrico Albanese, Giuseppe Bruno-Giordano, Andrea d’Urso, Antonino
Colina, molti altri, quasi tutti provati nella rivoluzione del 1848.
Altro convegno di liberali, senza formar
per questo un vero comitato, s’adunava in casa del dottor Gaetano La Loggia, e
vi convenivano, oltre il Pisani, Ignazio Federico, Antonino Lomonaco-Ciaccio,
il barone Camarata-Scovazzo, i quali ben presto, per mezzo dei comuni amici,
entrarono e si fusero con quel comitato.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano
Una raccolta di scritti storici e storiografici rigorosamente nella originalità dei documenti:
Una raccolta di scritti storici e storiografici rigorosamente nella originalità dei documenti:
- Storia di Sicilia dalla Preistoria al Fascismo (Ed. Ciuni anno 1935 - Per la parte di storia siciliana che va dal 1820 al 1860) La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910) Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille. (Estratto mensile "Rassegna storica del Risorgimento Anno XXV Fasc. II Febbraio 1938 - XVI) I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento italiano - anno 1931") Rivendicazioni. Attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927).
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