mercoledì 6 marzo 2019

Luigi Natoli: Alla ricerca di Gian Giorgio Lancia. Tratto da: La dama tragica.

Il secolo XVI fu  in Sicilia il periodo classico del banditismo. Storici e cronisti lasciarono memoria delle gesta compiute da alcuni banditi, forse i più famosi, nei tre Valli della Sicilia. In quel Caso di Sciacca, che rimase nella tradizione popolare, una banda di Albanesi fu assoldata dal conte don Sigismondo de Luna; in un altro caso, che fu detto dei Barresi, men celebre del primo, un nobile signore di Naro, Enrico Giacchetto, era a capo d’una banda di cento cavalli, coi quali, dice un cronista dei tempi, «faceva allo spesso gesti eroici e singolari». Durante il viceregno del duca di Medinaceli empì il regno di ammirazione e spavento un bandito, Vincenzo Agnello, che comandava una banda di quaranta cavalli, con suo trombetta e suo alfiere; e aveva nello stendardo dipinta l’immagine della Morte. Innamoratosi di una schiava, e fattala sua, dimenticò sè stesso negli amori, fu sorpreso dal capitan d’arme Frisone, e ucciso in combattimento. Era valorosissimo e audace fino al punto da venire fin sotto le mura di Palermo per punire un cavaliere di casa d’Afflitto. E una volta, andando il Vicerè in visita del regno, con seguito di cavalleggeri, Vincenzo Agnello gli volle rendere onore: schierò i suoi quaranta cavalieri sopra un poggio, spiegò l’insegna e fe’ dare nella tromba, che era poi una buccina.
Ai tempi di Marcantonio Colonna s’era formata un’altra banda, di vecchi briganti, avanzi di altre bande, sfuggiti alla giustizia, e di nuovi; e s’era raccolta intorno a un giovane di Randazzo, Gian Giorgio Lancia, contadino, gittatosi in campagna, come pur troppo avviene il più spesso, per aver voluto vendicare una sopraffazione, un torto, un’offesa all’onore.
La fama del valore di Gian Giorgio faceva accorrere sotto di lui quanti erravano nei boschi, vivendo di ladronecci e di assassinii.
Nel suo maggior fiorire, cioè alcun anni dopo, la banda si componeva di duecento uomini a cavallo, che davan battaglia alle compagnie dei cavalleggeri mandate contro di loro. In quei primi anni la banda aveva poco meno di un centinaio di uomini: due trombetti, uno stendardo, un segretario, che era un prete datosi alla campagna, per aver ucciso il seduttore di sua sorella. Segretario e Cappellano. Campo alle imprese era il Val Demona; ma in quei giorni, valicato il Salso, la banda scorazzava nel Val Mazzara, incutendo terrore. Viveva imponendo tributi ai signori, saccheggiando i castelli e le terre di coloro che si rifiutavano o non eran solleciti; depredando gli armenti e le greggi dei ribelli agli ordini di Gian Giorgio. Dormivano nei feudi, sicuri da ogni sorpresa; sapevano di trovare dovunque di che banchettare, alla maniera degli eroi omerici...
La banda si era spinta nel territorio di Corleone, e si era impadronita delle riscossioni del fisco, che si mandavano a Palermo; Don Galcerano doveva appunto andare a debellarla. Impresa pericolosa e dubbia. Molti capitan d’arme in Val Demone avevano perseguitato la banda. Vi lasciavano morti parecchi cavalleggeri, senza riuscire a circondare e a prendere i banditi, che a ogni insuccesso della giustizia, diventavano più audaci.
Questi insuccessi appunto spronavano il giovane cavaliere. Era un andare a guerra, dato il numero e l’ordinamento della banda e le attitudini strategiche di Gian Giorgio Lancia.
Galcerano era partito da Palermo con sessanta cavalleggieri, gente reclutata per lo più fra gli avanzi delle galere, nei bassi fondi della delinquenza, spesso tra banditi stessi; la quale non aveva altra allettativa che quella di guadagnare le grosse taglie promesse dal Vicerè; del resto senza fede e senza onore…
Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500, al tempo del vicerè Marco Antonio Colonna. 
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1920. 
Prezzo di copertina € 24,00 - Copertina di Niccolò Pizzorno. 
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