mercoledì 13 marzo 2019

Luigi Natoli: La morte del Conte di Cagliostro. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure

Per tutta la giornata non si parlò d’altro che di quell’avvenimento: la barba finta del prigioniero, portata come un trofeo, gironzolò per tutto il castello; l’arciprete volle vederla, la portò a vedere agli altri preti della curia: la videro nel paese tutti i magistrati del comune, maravigliandosi come il prigioniero avesse potuto procurarsela o fabbricarla, e qualcuno vedendoci, naturalmente, l’opera del demonio.
E intanto che tutte queste chiacchiere accresciute via via di nuove invenzioni, come un rivo, che, ingrossato nel suo corso da torrenti, diventa fiume, circondavano di leggende il prigioniero, il governatore ordinava che venisse bastonato; e, perchè gli passasse la voglia di fuggire, fosse trasportato nella prigione del Pozzetto, ed ivi incatenato per un piede a un grosso anello, infisso nella parete della prigione.
Egli non mandò un lamento: torvo, chiuso in un dolore disperato, lasciò compiere contro di sè le crudeli rappresaglie. Fu calato con le corde da una botola dentro la nuova prigione ed ivi abbandonato.
La prigione detta del Pozzetto era la peggiore di tutti: si trovava nella torricella del mastio, a occidente; alta dal suolo circa sessantaquattro braccia, illuminata da un finestrino con triplice inferriata, aperto a meno di tre palmi dal pavimento nudo e limaccioso, nella parete spessa otto palmi. Angusta, umida, semioscura; non aveva porta: vi si entrava dall’alto, per una botola che si apriva esternamente, donde, occorrendo, si calava una scala. Il prigioniero vi era stato calato con una corda; forse per questo, la prigione aveva nome Pozzetto: nessuna fibra, per forte che fosse, avrebbe potuto durare a lungo in quella sepoltura, che la pietà religiosa del sant’uffizio e del papa dava ai prigionieri. Non v’era che un mucchio di paglia per giaciglio, gittata in un angolo, sotto un grosso anello di ferro infisso nella parete per incatenarvi il prigioniero.
Giammaria sollevò la botola, e sporse il capo dentro la cella.
Il prigioniero stava seduto sulla paglia, per terra.
Giammaria stentò a conoscerlo: pareva invecchiato di dieci anni, e le lividure del volto gli davano un aspetto spaventevole.
Il prigioniero alzò gli occhi sul giovane, guardandolo con quello sguardo che produceva un certo rimescolìo e soggiogava.
Lo sguardo solo era il medesimo.
L’arciprete don Marini e il suo coadiutore, il padre don Filippo Scalini, per quei quindici giorni, a vicenda avevano tentato ogni via per ammollire il cuore di quell’uomo, che, per loro, era in preda del demonio. Egli pareva si fosse chiuso in un mutismo, che nè esortazioni, nè preghiere, nè mi nacce e neppur torture eran valse a vincere. Gli avevan punto le carni, gli avevano storto le braccia per vedere se conservava la sua sensibilità e se quel mutismo fosse un effetto del colpo apo pletico o di pravità d’animo; egli si era riscosso, aveva mandato un urlo che non aveva nulla di umano, ed era caduto nel suo mutismo. Soltanto i suoi occhi avevano conservato nella profondità dello sguardo, la loro elo quenza; e spesso alle insistenti doman de degli ostinati padri, esso si era illu minato di una superiorità sdegnosa, o di una penetrazione così profonda, che quelli se ne erano sentiti imbarazzare.
Don Marini aveva anche indetto pubbliche preghiere; aveva nel duomo esposto il Sagramento, e fatte suo nare le campane, perché Dio misericordioso toccasse il cuore indurito nella perversità. Ma invano...
Era morto alle tre del mattino del 26 agosto; e nel pomeriggio lo mandavano a seppellire. Come eretico e scomunicato, non gli toccava sepoltura cristiana, tanto meno accompagna mento di prete o lume acceso. E neppure una bara.


Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico dove protagonista è Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro.
Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914
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