Un ordine del comando
generale aveva organizzato un concentramento di forze sopra Charleroi
minacciata dagli eserciti tedeschi, Liegi era caduta; torme di fuggiaschi
avevano recato intorno, per le città del Belgio, più vicine alla frontiera, il
dolore e l’orrore dell’invasione germanica. Liegi, la vecchia e gloriosa città
era stata invasa; i forti, che pur avevano gagliardamente resistito, erano
caduti. Il nemico aveva vinto pel numero soverchiante.
Una valanga umana,
inarrestabile, terribile di tutte le brutalità, si era abbattuta sulla città
industre, difesa da un piccolo esercito votato al sacrificio. La resistenza
inaspettata aveva scatenato dal fondo dell’anima degli invasori i primitivi
istinti barbarici. Liegi s’era difesa; Liegi aveva arrestato i poderosi
eserciti del Kaiser; il cucciolo, che si credeva rovesciare con una pedata,
aveva addentato per la zampa il molosso, e lo aveva tenacemente fermato. Il
cucciolo difendeva la sua casa. Ecco il delitto. Il più forte, trionfando,
aveva punito con tutta la bestiale violenza della contesa vittoria, il divino
delitto.
La città, alcuni forti
erano in potere dei tedeschi; altri forti resistevano ancora, ma senza altra
speranza che tormentare il nemico, e immobilizzare ancora una parte delle sue
forze.
Ma tutta la Germania,
sollevata, trascinata da un furore fanatico simile a una impetuosa fiumana in
piena si era rovesciata per tutto il Belgio, con la rapidità di chi vuol presto
sbrigarsi di una faccenda per attendere ad altre di maggior conto.
Bisognava spezzare,
abbattere ogni ostacolo per rovesciarsi sulla Francia e correre fino a Parigi.
Il tempo urgeva. Anversa su cui si era ritirato l’esercito belga, Namur validamente
fortificata, erano due ostacoli che occorreva superare. Quei piccoli belgi
bisognava spazzarli da ogni parte, col ferro e col fuoco. Non avevano essi tra
Diest e Haelen data una sconfitta ai tedeschi? Essi erano un pericolo, tanto
più temibile ora che erano da qualche giorno sbarcati gli Inglesi e che era
avvenuto il collegamento con le truppe francesi.
Ora uno dei più poderosi
eserciti tedeschi mirava a Namur, la “porta di Francia”. Espugnare Namur
significava avere aperta la via per sboccare sulla terra francese. La città era
difesa da una corona di forti più formidabili di quelli di Liegi; dietro di
essa da Nivelles a Dinant si stendevano le forze degli alleati franco-belgi; ma
il centro della difesa era Charleroi, posta sulla strada fra Namur e Mauberge,
la fortissima barriera francese, sul confine belga.
Presidiata Givet,
rafforzata Dinant, il comando aveva fatto di Charleroi la base più
considerevole per la sua azione. Tutti i villaggi e i borghi vicini,
Marchienne, Bouffroi, Chatelet, Landelis, Montignies, fin presso Valcourt,
erano stati occupati da distaccamenti; i ponti del canale fortificati con mitragliatrici;
altre mitragliatrici erano state poste sul tetto della stazione della città
bassa; tutte le stazioni delle linee ferroviarie erano state occupate.
Per due giorni il paese
era stato percorso da truppe che andavano a raggiungere le posizioni loro
assegnate. Il 112 reggimento, con cavalleria e artiglieria fu spinto fino ad
Auvelais, borgata di otto mila abitanti, attraversata dalla Sambre, a mezza
strada fra Charleroi e Namur. La parte del borgo che giace a sinistra del fiume
è divisa in due quartieri distinti, Sharte e la Rounerie, tagliati a mezzo dalla
strada che conduce a Iemeppe e ad Eghezèe.
Qualche giorno innanzi a
Eghezée era avvenuto uno scontro; tutta la regione posta fra Liegi e Bruxelles
era invasa dai tedeschi; i loro Taube,
come sinistri uccelli da preda, volteggiavano pei cieli, sui campi dove ancora
il sangue umano non si era rasciugato: i loro ulani, a piccoli drappelli,
correvano qua e là improvvisi nunzi di terrore, come per testimoniare la
presenza dell’esercito di ferro.
Il reggimento, lasciati ad
Auvelais quattrocento fantaccini con cannoni e una sezione di cacciatori a
cavallo a presidiare il ponte della strada ferrata, portò altrove il grosso
delle sue forze. Guy con una mezza compagnia ebbe l’ordine di occupare
l’estrema punta del quartiere della Rounerie, per difendere la strada maestra,
donde si aspettava l’arrivo dei tedeschi.
Il giovedì sera, 19, una
pattuglia di ulani, apparve sulla strada maestra; i cacciatori francesi li
inseguirono fino a Balatre, ne uccisero sei, e ritornarono ad Auvelais. Era il
segno della prossima bufera. Il capitano diede gli ordini opportuni; le truppe
passarono tutta la notte dormendo sulle strade, coi fucili tra le gambe, pronte
a ogni evento, temendosi un assalto notturno di sorpresa: gli avamposti furono
rinforzati; gli ufficiali, a turno, durante tutta la notte girarono per gli
avamposti, vigilando. Guy ebbe la sua volta, tra la mezzanotte e le due del
mattino. La notte era umida, e le stelle tremavano. Non v’era luna. La campagna
era immersa nell’ombra; si distendeva fosca, uniforme tra le colline; appena si
distinguevano le masse scure degli alberi; e fra le masse scure, le macchie
biancastre, incerte, confuse, delle fattorie. Il fiume appariva dove più nero,
come un fosso profondo, dove più chiaro, con un lieve luccicore metallico.
E scorreva fra le sue rive
silenziose, fra le sue colline ombreggiate, con un dolce mormorìo, che pareva
cantasse la ninna-nanna alla terra laboriosa; né la sua pace idillica pareva
turbata dall’insolito affollarsi di armati, dal corruschìo delle armi, da quel
travaglio di anime che aspettavan la tempesta di fuoco.
Guy, avvolto nella
mantellina, percorreva la linea degli avamposti, e pensava al domani.
Fino allora, salvo quel
piccolo episodio con gli ulani, egli non aveva visto la guerra davvicino. Da
venti giorni circa non aveva fatto che marciare avanti e indietro, per paesi
ignoti, non udendo della grande guerra, che l’eco lontana. Ora si trovava sul
campo di questa grande guerra, della quale le grandi manovre non erano che una
rappresentazione coreografica.
Sì, nelle grandi manovre
si dormiva per terra sotto le tende, si facevano lunghe marce sotto la sferza
del sole ardente, si consumavano molte cartucce, si facevano delle cariche alla
baionetta, con slancio... Ma era un gioco. Non scoppiavano gli obici tra le file,
nessuno cadeva con un grido, con un gemito, squarciato il petto o fracassata la
testa dalla mitraglia; nessuno rientrava nell’accampamento con la baionetta,
con le mani intrise di sangue...
Guy pensava al domani. Domani
sarebbero giunti i tedeschi; gli ulani li avevano già annunziati; nell’aria
immobile si sentiva quasi il rombo pesante e fosco della loro avanzata. Pareva
che un fremito percorresse la terra, sotto il passo di quei reggimenti
ferrigni, che marciavano con una cecità fanatica, verso la vittoria o la morte,
passando, senza fermarsi, sui loro fratelli caduti. Domani quel borgo, che
dormiva tranquillo nell’ombra, tra’ fanali spenti, sarebbe diventato un
inferno; la Sambra, che mormorava dolcemente fra le colline degradanti coi loro
boschetti a specchio, sarebbe stata turbata e insanguinata....
Luigi Natoli: Alla guerra!
Pubblicato per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 ottobre 1914 viene nel 2014 (a cento anni esatti dalla prima pubblicazione) pubblicato per la prima volta in libro dalla casa editrice I Buoni Cugini editori. Copertina e illustrazioni interne di Niccolò Pizzorno.
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