I.
Il ballo della morte.
Cavalcava nel cuor della notte, solo, fra le orride gole dei monti e le pianure interminate; attraversava boschi aspri e selvaggi e campi di frumento ancor tenero; e al trotto concitato del suo cavallo fuggiva un cerbiatto, spiccava il volo una upupa, s’appiattava un lepre. Né la paura di incogliere dei malandrini che infestavano le campagne, né la stanchezza, il bisogno di dormire o di rifocillarsi arrestavano il suo viaggio. L’idea che lo tormentava, l’ira e il dolore che gli sconvolgevano l’anima, gli infondevano una lena e un vigore straordinario.
Egli non vedeva nulla intorno a sé; gli alberi, le rocce, le
torri sparivano come fantasmi da un lato e l’altro della via; un bisogno solo
urgevagli: arrivar presto, improvviso nel castel di Militello, piombar nelle
stanze, come un fulmine, e infrangere la vita di coloro che avevano infranta
l’anima sua.
Non vedeva che il suo castello, il magnifico signor Antonio
Barresi, e nel castello non vedeva che una camera, e in quella camera non
vedeva svolgersi che una scena, una orribile scena!... E spronava il cavallo,
che sbuffava e nitriva dolorosamente, affranto da quella corsa continua di
dodici ore.
Pure, talvolta, il barone Antonio Barresi dubitava.
- Possibile?... ma è possibile? – si chiedeva affannosamente
– Come? Quando? Perché? – E ritornava con la mente a ripetersi il fatto che gli
era stato svelato da quella lettera infame. Egli era arrivato da un giorno a
Palermo dall’Aragona, dove era stato per ambascerie presso il re Giovanni: ed
ecco che gli recarono una lettera: da chi era scritta? Dai suoi fratelli,
proprio eran essi firmati giù sotto l’accusa formidabile: “don Niccolao, don Luigi”... E se i suoi fratelli mentivano?...
Mentire? E per qual ragione? Che cosa potevano aver loro con donna Aldonza?
Doveva esser vero... Vero?!... Morte e dannazione!... Oh perché invece di scrivergli
quella lettera, essi, i suoi fratelli, non piantarono uno stile nel cuore di
quei turpi traditori?
Pure la lettera non recava alcun particolare, alcuna
prova... nemmeno un indizio; l’accusa era breve e laconica “mentre voi andate
nelle Spagne pel servizio di Sua Maestà, donna Aldonza vi tradisce
vergognosamente col segreto”. E col segreto poi! un vassallo, un servo, un
miserabile! Oh quale ondata di fango insozzava le sbarre di argento del suo
scudo!...
E mentre pensava, mentre tutti questi dubbi gli tumultuavano
nell’anima, e ruggivano mille passioni nel suo petto, egli stringeva le redini
nel pugno nervoso, ficcava gli sproni nel ventre del suo cavallo, e lo spingeva
al galoppo. E il generoso animale, sbuffando, nitrendo, fremeva, spumeggiava e
galoppava...
Luigi Natoli
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