Egli viveva in mezzo a
quel popolo di legno e di mantello non solo perché gli dava il pane, ma perchè vi
s’era foggiato un mondo morale a sé, gli stessi sentimenti, le stesse
abitudini, quasi lo stesso linguaggio. I paladini rivivevano in lui: Orlando,
Rinaldo, Carlo Magno, Fioravante, Rizzeri, il marchese Oliveri, Ricciardetto, e
via via dicendo, erano per lui creature viventi, e nel cuor suo accoglieva
tutto quanto quei paladini avevano di eroico, di generoso, di nobilmente umano.
Quando era sul palcoscenico, e reggeva i fili dei pupi, e li faceva movere coi
gesti misurati e sempre gli stessi, e parlava con la voce alterata, non era più
lui, ma l’eroe che aveva in pugno. I colpi di spada, che percotevano le teste
di legno, erano veri; si meravigliava di non vedere il sangue correre, e una
volta mise nella marionetta una piccola vescichetta piena di sangue, che a un
colpo colava con una realtà illusiva per lui e per il minuscolo pubblico, che
montava in visibilio. Ma un personaggio non poteva soffrire: Gano di Maganza.
Il traditore! Gli riusciva ripugnante, e metteva ogni sforzo perché apparisse
ancora più laido.
Luigi Natoli
(Nella foto il pupo Orlando, esposto al museo etnografico Pitrè di Palermo)
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