mercoledì 30 gennaio 2019

Luigi Natoli: Il sogno infranto di Corrado Calvello. Tratto da: Calvello il bastardo

Quanto il Teriaca, preso da paura, aveva denunziato, era vero. Sicuro del soccorso delle bande, e specialmente di quella del duca di Falconara, don Francesco Paolo Di Blasi aveva fissato di insorgere il venerdì santo, 3 aprile, nell’ora della processione della Compagnia della Soledad, la più famosa di quelle che avevan luogo a Palermo durante la settimana santa. La processione usciva dalla chiesa dei padri Trinitari, recando l’urna a vetri col Cristo deposto, e la “bara” con l’Addolorata ammantata di nero. Vi prendevan parte tutti i conventi e le confraternite, e gruppi di fanciulli, vestiti da apostoli, da angeli e da Maddalene, rappresentanti i misteri della passione. L’Urna era attorniata da uomini chiusi in pesanti armature medioevali, con la celata in testa, l’alabarda in pugno, terribili: questo spettacolo, l’intervento della truppa, in uniforme di gala, il concorso della nobiltà, l’intervento ufficiale del Vicerè e del luogotenente, con la deputazione del Regno, coi tribunali, e con tutte le magistrature, del senato con tutti gli ufficiali della città, rendeva questa processione la più spettacolosa e la più magnifica.
Approfittar dell’assenza della truppa dalle caserme e della loro dispersione lungo la strada; piombar sul luogotenente generale e impadronirsene con l’aiuto dei soldati ribelli; impadronirsi delle caserme, dell’armeria, delle carceri, del banco pubblico; sollevare il popolo, e gridar la repubblica, intanto che la flotta francese, raccolta allora nelle acque della Sardegna, accorresse a dar mano forte, era un disegno audace, che se fosse riuscito, avrebbe avuto conseguenze assai gravi per la dinastia borbonica.
Si era convenuto che appena iniziata la sommossa, avrebbero suonato a stormo le campane del Duomo, e sul cuspide della torre avrebbero issato lo stendardo di Sicilia bianco con l’aquila nera nel mezzo, ma attraversato da una larga fascia rossa e turchina, i colori della repubblica francese. Dall’alto della torre dei Diavoli si vedevano bene le quattro torri della cattedrale e il grande campanile costruito di recente; e poichè la distanza era di un mezzo miglio, lo stendardo si sarebbe veduto chiaramente.
La notte passò tranquilla. Corrado ricordava che due anni innanzi, proscritto, ricercato, aveva chiesto l’ospitalità a quella vecchia torre abbandonata. Ora, alla viva fiamma che ardeva in mezzo alla vasta sala scoperchiata, vedeva quegli uomini addormentati, col capo appoggiato alle selle, le armi fra le gambe; sui quali il riverbero delle fiamme disegnava luci strane e fantastiche, e pensava a quanta gloria erano serbati. Non tutti avrebbero goduto la gloria del trionfo; ma a tutti la patria risorta avrebbe decretato l’alloro. Fra due giorni essi non sarebbero stati più oscuri.
Immaginava il loro ingresso in Palermo: qualcosa di magnifico e di terribile! Quei quaranta centauri, appena veduto lo stendardo bianco e udito il rombo lontano delle campane, si sarebbero lanciati giù pel piccolo ponte della Guadagna sullo stradale; stretti, compatti, formidabili, come gli antichi catafratti; di galoppo, per la porta Montalto fino al piano del palazzo reale, per impadronirsi dei baluardi, occupar la sede del governo, tagliar la strada alla cavalleria dei Borgognoni (48).
Pensava e sognava. E guardando i muri screpolati e derelitti dell’antica dimora di una delle più illustri famiglie della Sicilia, estintasi combattendo per l’indipendenza della patria, diceva fra sé:
- Quali destini si covano questa notte dentro queste rovine del passato!
Nelle prime ore del mattino fu destato da Angelo che lo seguiva; balzò in piedi, domandando che cosa fosse accaduto, ma un vivo stupore gli si dipinse sul volto, vedendo Pietro.
- Cos’è? ci son novità?...
- Tutto è perduto!... – disse il giovane con voce quasi convulsa; – tutto è perduto; bisogna allontanarsi, e presto.
Un fulmine scoppiato ai suoi piedi non avrebbe impietrito Corrado come quella notizia inaspettata. Rimase con gli occhi spalancati, la bocca aperta, una espressione di profondo dolore, senza voce. Perduto? La parola gli riempiva il cervello, ma come qualcosa di inconcepibile, o di incomprensibile, come un grande pensiero oscuro che sopraffaceva e aboliva ogni altra facoltà della mente. Finalmente si riebbe; con voce tremante, domandò:
- Come? perduto?... Perchè?
- Traditi!... traditi! – gridò Pietro con una bestemmia; – c’era dei traditori!... L’arcivescovo ha saputo ogni cosa...
- E don Francesco?
- Arrestato.
- Arrestato?
- Questa notte medesima. Fu arrestato dal Capitano della gran Corte, don Giovanni Di Gregorio... perchè il Capitan giustiziere si rifiutò... Non lo trovarono in casa sua... Era in casa dell’amante... a Santa Oliva...
- I fratelli Tenaglia, Palumbo, Carollo, La Villa, D’Anna... Patricola, il Porcaro... tutti... son circa quaranta... Sorpresi nelle loro case, improvvisamente, da granatieri, esteri, birri... La città è a soqquadro; uno spavento, un terrore dappertutto!... Oh, non c’è più nulla a fare!... Si sa delle squadre... Si sa tutto!... Bisogna andar via subito... Non c’è più nulla a fare!...
Corrado passava per tutti i gradi dallo stupore doloroso all’abbattimento più profondo. L’arresto dei suoi amici spezzava le ali al suo disegno; la sua audacia cadeva prostrata dinanzi a quegli avvenimenti impreveduti e terribili, dei quali si sapevan già quali sarebbero state le conseguenze. La sorte dei suoi amici era già inesorabilmente segnata...
- E il popolo? – domandò con amarezza.
Pietro alzò le spalle con un gesto di scoramento...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913
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