mercoledì 30 gennaio 2019

Luigi Natoli: Giuseppe Teriaca tradisce Francesco Paolo Di Blasi - Tratto da: Calvello il bastardo

Verso l’Avemaria del 31 marzo, non appena monsignor Lopez era rientrato dalla consueta passeggiata vespertina, un prete vecchio, giallo, dalla cera spaurita si presentò nell’anticamera, chiedendo con insistente premura di parlare con sua eminenza.
- Cose gravi! cose gravi!... – disse al segretario che si era affacciato per sapere che cosa volesse: – Lei mi conosce, sono il parroco di San Giacomo la Marina... ho delle cose gravissime da rivelare a sua eminenza... gravissime!...
Allungava il volto e spalancava gli occhi con una tale espressione di terrore, che il segretario gli disse di aspettare un istante.
Da quando il governo di Napoli aveva elevato parroci, cappellani e confessori alla dignità di spie, era un frequente accorrere di preti, che venivano a riferire; e che, naturalmente, erano accolti con facilità. Ma l’aspetto e le parole del parroco di S. Giacomo facevan sospettare che si trattasse di ben altro delle consuete notizie.
- Ecco... Io, come vostra eminenza sa, reggo indegnamente la parrocchia di San Giacomo la Marina...
- Lo so, avanti...
- Ho fra i miei penitenti un giovane, che lavora a bottega d’un argentiere; si chiama Giuseppe Teriaca...
- Giuseppe Teriaca; ebbene?...
- Ecco... Egli è venuto a confessarsi, per prepararsi al santo precetto, e mi ha confessato che fa parte di una cospirazione di scellerati, che vogliono rivoltar la città...
- Eh!...
- È come le dico, eminenza! La ribellione scoppierà venerdì mentre vostra eminenza seguirà l’urna della sacrosanta immagine di Gesù morto... Il piano è scellerato, è sacrilego. Vogliono impadronirsi della sacra persona di vostra eminenza...
- Eh!...
- È così come le dico. Aprire le carceri, abbattere il governo di Sua Maestà, e naturalmente impadronirsi del tesoro pubblico, incendiare i palazzi, commettere ogni sorta di nefandezze. Tutto è pronto: vi son anche, a quanto si dice, delle bande armate pronte a entrare in città, appena le campane suoneranno a stormo...
- Ma è poi vero tutto questo? – domandò monsignor Lopez stupefatto...
Uscì e dopo qualche minuto rientrò con un giovane sbarbato, confuso, smarrito, come chi è combattuto fra due rimorsi opposti e in urto.
Alle esortazioni del parroco, alle interrogazioni dell’arcivescovo, egli confermò quanto aveva confessato.
- E tu fai parte della congiura?
- Eminenza, sì... ma son pentito...
- Chi ti ha messo a parte della congiura?...
- L’orefice don Benedetto La Villa...
- E chi ha ordito ogni cosa?...
- Non lo so; tengono il segreto, ma il capo è don Francesco Paolo Di Blasi...
- Don Francesco Paolo Di Blasi? – gridò l’arcivescovo, balzando in piedi, e dando un pugno sul tavolo.
- Eminenza, sì... Dice che è in carteggio coi giacobini per far la repubblica...
- E gli altri? gli altri? – domandò l’arcivescovo.
- Non li conosco tutti; ma so che c’è il capomaestro don Francesco Patricola, don Gioacchino Mercurio, don Saverio Ganci, Peppe Palazzo, Vincenzo la Rosa, Agostino Cavarretta... Ma questi non sono i capi... Ce ne n’è anche altri...
Glieli diceva intanto che l’arcivescovo li segnava rapidamente in un foglio. Alcuni gli erano noti; erano indiziati di frammassoneria e di giacobinismo, ma non si era avuto fin allora alcun elemento per procedere contro di loro e Stefano Pascale era morto! Raccomandò al giovine traditore di usar prudenza, appurar altre notizie e comunicarle tosto al suo confessore, che gli aveva illuminato la mente; e assicuratolo della sua protezione e della sua benevolenza lo congedò.
- Quanto a lei, signor parroco, segnalerò il suo nome al governo del nostro real padrone.
Il prete si inchinò umilmente, ringraziando; e i due spioni scesero dal palazzo arcivescovile, protetti dall’ombra della notte calante. Credevano che così l’ombra dell’oblìo avrebbe ravvolto i loro nomi: ma la storia, come segna i nomi dei generosi alla pubblica estimazione, così registra anche quelli dei Giuda, a loro perpetua infamia. Il prete don Giovanni Lorenzo Pizzi, di questo figliuol di ciabattino, diventato parroco per intrighi, e di Giuseppe Teriaca, vigliacco venditore del sangue dei suoi fratelli, si aggiungono agli altri nella obbrobriosa pagina dell’infamia umana.
Quasi nel momento che quei due spioni uscivano, entravano precipitosamente nel palazzo il generale Persichelli, comandante generale delle armi in Sicilia, e il brigadiere Jauck, colonello del reggimento estero. Anch’essi avevano una grave comunicazione da fare a sua eminenza il luogotenente. Quella sera sembrava gravida di tremende rivelazioni. Un caporale del reggimento estero, Carlo Schelmes aveva denunziato segretamente al colonnello Jauck, che alcuni caporali del reggimento Calabria e del reggimento estero e alcuni sergenti del regno facevano parte di una vasta cospirazione; e che dovevano insorgere durante la processione del venerdì santo. C’erano i fratelli Giulio e Giovanni Tenaglia, Bernardo Palumbo e Gaetano Carollo caporali, c’erano altri militari. Allo scoppio della rivolta, il duca di Falconara, antico sergente dei fucilieri, sarebbe piombato in Palermo con una banda di villani dei suoi feudi. Era dunque un vulcano spalancato, che minacciava di travolgere e seppellire tra le sue lave infocate ogni cosa. Monsignor Lopez ne fu atterrito; senza por tempo in mezzo, mandò a chiamare il presidente della Gran Corte criminale Paternò Asmundo, l’avvocato fiscale Felice Damiani e il duca di Caccamo capitano giustiziere…


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913
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