domenica 27 gennaio 2019

Luigi Natoli: Duelli e non solo... - tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba

I duelli furono due, fissati per le ore mattutine: il primo col duca di Campolongo, a dodici ore, dietro S. Francesco di Paola; Fabrizio ebbe un colpo al fianco, che se fosse stato un pollice più in qua, l’avrebbe trapassato da una parte all’altra: fortunatamente sfiorò l’osso dell’anca. Il duca invece ebbe una stoccata al braccio, così profonda, che non potè più reggere la spada. L’altro duello ebbe luogo a tredici ore, nello stesso campo. L’avversario di Fabrizio era il conte di Rosmarina, sorteggiato fra i cinque cavalieri, che erano intervenuti in corpo per assistere allo scontro; la presenza dei quali fece impallidire Ribera, che aveva accompagnato l’amico. Il conte di Rosmarina era un buon tiratore; e lo scontro fu vivace e lungo; senza che i due avversari giungessero a scalfirsi. A un certo punto uno dei quattro signori che assistevano si interpose: bastava: non c’erano offese così gravi da doversi lavare col sangue; i due avversari avevano dato prove più che sufficienti di coraggio e di maestria nelle armi; di esser capaci di sostenere le proprie idee; pregava che posassero le spade; non potendo permettersi che due gentiluomini così valorosi si uccidessero per una parola vivace che forse il cavaliere Torralba da vero cavaliere in cuor suo riprovava.
Allora Fabrizio disse:
- Per quanto mi riguarda, dichiaro che io non ho nessun sentimento di odio per prolungare questo duello; ma sono a disposizione del conte; e tocca a lui troncarlo o no.
- Ebbene, signore, – disse il conte, – io sono soddisfatto.
- Ed allora, signori miei, vi prego di accogliere le mie scuse per una parola alla quale non era nelle mie intenzioni di attribuirle un significato lesivo dell’onore delle signorie vostre.
Finì, naturalmente, con una pacificazione generale: erano giovani, senz’odio, pel cui animo il puntiglio, una volta soddisfatto non lasciava tracce. Ritornarono tutti insieme, lieti che la contesa fosse finita senza sangue e con onore di tutti; ma più lieto era Ribera che, deposta ora la paura, aveva assunto la sua aria spavalda e ripresa la parlantina. Fabrizio ritornò a casa, dove nessuno sapeva dei suoi duelli; e avendo fame si fece servire una tazza di cioccolato aspettando l’ora di andare dal Capitano di Giustizia, per domandargli con le buone o con le cattive la liberazione del servitore.
La saletta dove egli sorbiva il cioccolato, aveva una piccola finestra un po’ alta che dava in un cortile appartenente ai padri delle Scuole pie, e dove in certe ore i ragazzi che frequentavano la scuola del pianterreno, facevano la ricreazione. Proprio quella era una di queste ore; e Fabrizio, in mezzo al chiasso, sentì a un tratto levarsi alte grida di dolore.
- Che diavol fanno quei ragazzi? Si ammazzano?...
Le grida continuavano laceranti; egli non ne potè più; ubbidendo al suo istinto di accorrere dovunque udiva piangere e gridare, trascinò la tavola sotto la finestra, vi montò sopra, e sporse il capo. Vide in mezzo alla corte un frate grande e fatticcio, che menava colpi furiosi con una ferula sul dorso di un ragazzetto che, tenuto a cavalcioni da un altro giovane, urlava a ogni sferzata e implorava pietà.
Lo spettacolo era ripugnante: Fabrizio si ricordò della Quinta Casa; per mettervi fine, gridò:
- Padre, mi faccia la grazia di perdonare quel povero ragazzo.
Il frate alzò gli occhi, cercò, vide quella testa che sbucava fuori da quella finestra che pareva un buco, e non rispose; anzi alzò la ferula per continuare il supplizio.
- Padre, – replicò Fabrizio; – le rinnovo la mia preghiera... perdoni quel ragazzo...
Allora il frate, volgendosi a un altro frate, obeso e tabaccoso, disse:
- Che ve ne pare, padre Stanislao? C’è da rispondere a quel pulcinella?
Fabrizio si sentì montare la senape al naso.
- Questo pulcinella ha delle buone braccia, e potrà farvele provare.
Ma il frate non lo lasciò finire; raccattato un ciottolo lo lanciò e per poco non colse Fabrizio; il quale non trovando a portata di mano sopra un vecchio armadio accanto alla finestra che un pentolino pieno di terra lo tirò sulla testa del frate: ma ecco una pioggia di proiettili battere sugli stipiti delle finestre dell’architrave, sul muro, e qualcuno anche sulla sua testa. Erano i ragazzi, che esprimevano la loro gratitudine verso chi prendeva la loro difesa, lapidandolo. Forse perché egli aveva interrotto lo spettacolo di quelle sferzate, che eccitava i loro istinti primitivi. Non avendo altri proiettili, Fabrizio scese in fretta, impugnò il bastone, e giù per le scale, infila il portone della scuola, piomba nel cortile, a le spalle del frate e dei ragazzi, che armati di ciottoli, stavano col naso in su, aspettando che egli riapparisse dalla finestra. Egli non mise tempo in mezzo, balzò con tre quattro colpi furiosi sulle spalle del frate, che voltosi come un serpente, gli lanciò il ciottolo. Fabrizio si vide piovere intorno una nuova pioggia; il frate impugnò una sedia: altri frati uscirono con bastoni, e tutti addosso a lui... 


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba - Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700. 
Un inedito, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926 e raccolto per la prima volta in unico volume di 460 pagine ad opera de I Buoni Cugini editori. 
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