domenica 27 gennaio 2019

Luigi Natoli: Il Castello a Mare, prigione dei nobili. Tratto da: I mille e un duelli del bel Torralba

E dieci minuti dopo entrava nel Castello a mare.
I castelli regi erano i quel tempo le prigioni dei nobili; ma in quelli delle isole o negli altri di cui Fabrizio aveva paura, non ci si richiudevano che i rei di stato; i delitti dei quali erano riputati più gravi di quelli dei ladroni di strade maestre, e anche dei sacrileghi e dei parricidi; per cui si riservavano a loro i sotterranei più umidi, senza luce, e una reclusione rigorosa. E di queste orride celle ve ne erano anche nel Castello a mare di Palermo. Ma per gli altri delitti commessi da nobili, anche omicidi, non v’erano celle né rigori: essi avevano nei castelli buone camere, che potevano a loro agio rendere più comode facendovi trasportare la loro roba. Nell’ambito del Castello avevano la facoltà di andare e venire; potevano giocare e banchettare, e qualche volta in compagnia del Castellano. Qualche volta, impegnando la parola, ne uscivano di sera, per qualche scappatella amorosa, e vi ritornavano all’alba, specialmente se erano in prigione per debiti. Insomma era un albergo più che un carcere. E non suscitava scandali, né proteste. Erano nobili, e naturalmente si dovevano loro dei riguardi. Soltanto nel caso di speciali ordini, essi potevano subire trattamenti più rigorosi, come la segregazione e celle più disagiate.
Fabrizio dunque entrò nel Castello senza nessuna preoccupazione per quanto riguardava le comodità del soggiorno: l’unica stizza che sentiva, era per la privazione della libertà, che gl’impediva di andare a visitare i suoi amici. Rosalia, e specialmente donna Laura, che egli sperava di rivedere a dispetto del vecchio marchese.
Bisognava intanto avvertire la famiglia, la principessa Carlotta, Rosalia, di questa avventura che chiudeva una giornata così ricca di avvenimenti. Il comandante del Castello era buon compagnone, che volentieri si offerse per mandare un soldato con quelle lettere che Fabrizio volesse indirizzare. Ma egli non ne scrisse alcuna; invece mandò il soldato a casa di Ribera, per pregarlo di favorire al Castello.
Il castello ospitava altri gentiluomini e qualche uomo di toga; v’era un barone di Scorciavacche, fatto arrestare dai creditori; un duca Landolina che aveva bastonato la ronda; un cavaliere delle Mortelle che aveva commesso l’orrendo delitto di avere sposata una giovane di un ceto inferiore, macchiando così la purezza del sangue; un abate Carella che aveva scritto una pasquinata contro il pretore... Tutti giovani, allegri, spenderecci, che passavano il tempo giocando, bevendo, improvvisando burle, e perfino tenendo accademie letterarie, che avrebbero ammazzato Apollo, le Muse, Aristotele, Longino, Quintiliano!... Fabrizio constatò che la compagnia non poteva esser più scelta né meglio armonizzata: essa volle festeggiare il ricevimento del nuovo ospite, con una cena, alla quale fu invitato il comandante stesso. E fu una cena quale forse le sale del Castello non avevano veduta l’uguale. Durò tre ore: e non si contarono le bottiglie.
E certo fu quella una carcerazione che poteva rassomigliarsi a una villeggiatura. La fantasia suggeriva mille modi piacevoli di passare il tempo: ma intanto passavano le settimane, passavano i mesi. Fabrizio non era chiamato dai giudici, non si imbastiva nemmeno l’ombra di un processo; dai suoi amici non venivano che vaghe notizie, che lasciavano poco a sperare: se avesse bastonato dieci signori sarebbe stato meno colpevole: ma due padri da messa, nella loro casa!... Era incorso non solamente sotto le pene civili ma anche in quelle canoniche, e l’arcivescovo, che aveva ereditato i poteri dell’abolito Sant’Offizio, teneva duro, per dare un esempio.
Così trascorse il 1805; entrò l’anno nuovo; per la seconda volta, il 25 gennaro del 1806 il re Ferdinando IV, fuggendo le armi francesi condotte da Giuseppe Bonaparte e dal generale Massena veniva a cercare un ricovero e una difesa in Sicilia; veniva nel mese seguente la regina Maria Carolina coi principi, con la principessa, con la nuora Isabella seconda moglie del principe ereditario Francesco: e con loro e dietro a loro circa due migliaia di emigrati napoletani, e molti francesi, che per la seconda volta venivano a pesare sulle esauste spalle della Sicilia; e soprattutto venivano gl’Inglesi, non da ospiti questa volta, ma da padroni.
Fabrizio aprì l’animo alla speranza….


Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine 700. 
Un inedito, pubblicato unicamente a puntate in appendice del Giornale di Sicilia nel 1926 e raccolto per la prima volta in un volume di 426 pagine ad opera de I Buoni Cugini editori. 
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