giovedì 9 maggio 2019

Luigi Natoli: La festa della Madonna Assunta ai Cappuccini. Tratto da: L'Abate Meli

La Madonna Assunta che si venera nella chiesa dei Cappuccini 
a Palermo
Era il pomeriggio. La via era affollata di gente, perché era la vigilia dell’Assunta, festa solenne dei Cappuccini. Gente che andava e gente che veniva: un viavai continuo: portantine di tutti i colori e carrozze padronali, carretti, pedoni; questi in maggior numero, uomini in giamberga e in giacca, donne col manto chiuso nel naso, lasciando liberi gli occhi neri e fulgidi; ragazzi che empivano la strada dei loro cicalecci; venditori di acqua, che la portavano sul fianco, coi bicchieri infilati in un ordegno di ferro; o di semi di zucca, o di ceci abbrustoliti: tutta gente che vociava, nel lungo tratto di strada.
Allo svolto della strada che conduceva ai Cappuccini, la folla era più fitta. Delle baracche cucinavano, delle altre facevano focaccie, qui una tenda vendeva dolciumi, lì una tavoletta esponeva Madonne di argilla, coricate con le mani stese ed aperte, vestite di bianco col manto azzurro; grandi e piccole; più in qua l’“incatena corone”, torcendo i fili di ottone intorno ai grani del rosario; e fra tutti, le piccole bare, con madonne di cera, illuminate, portate da quattro ragazzi che gridavano con le vocine squillanti: “viva Maria”. Ma su tutto ondeggiava un odore di fritto, tra il fumo delle padelle, nelle cucine improvvisate.
Fra questa folla varia e multiforme andava il Meli discorrendo col giovane che gli camminava a fianco.
- Al Convento non vi ho visto mai. Come vi chiamate?
- Mi chiamo Gerlando, ai suoi comandi. Gerlando Disa... Sono venuto da poco; il frate ortolano è mio parente...
- E siete intimo di fra Francesco?
- Sono il suo buon servitore, perché mi ha beneficato, quando ero, per così dire, nell’altro mondo!
- Come sarebbe a dire?
- Dunque voscenza non m’ha guardato?
- Che cosa volete che vi guardi?
- E mi guardi ora...
E il giovane si scoprì, voltandosi verso di lui e mostrando la testa. Aveva una cicatrice, piuttosto lunga, che gli correva dalla fronte e gli partiva i capelli, come una scrimatura.
- Questa – disse – me la fece un colpo di spada, una sera; e debbo a Fra Francesco se tornai dalla morte alla vita. Fu un signore. Credeva che volessi dare una lettera ad una delle sue donne e mi conciò a questo modo. Per poco non sono morto.
- Ma dimmi un po’, – disse sorridendo Meli, – tu non destasti sospetto? Non ti si era veduto con qualche signora?
- Oh! ma che va dicendo voscenza! Io non faccio il mezzano. Chi sa poi per chi m’ha preso quel signore.
Chiacchierando così, e scansando il continuo andirivieni, erano giunti al convento. La folla era più fitta e bisognava fermarsi. Dalla croce di legno, alta sopra uno zoccolo, fino a quella specie di portico pieno zeppo di... miracoli o “ex voto”, dipinti da pittori da strapazzo, la gente si ammassava. La chiesa era piccola e non c’entrava tutta; gran parte sostava. Un frate raccoglieva l’elemosina.
Eppure in quel viavai di gente allegra, in mezzo a quel cicaleccio, a quelle grida continue, nel convento un uomo moriva. E aspettava con l’ansia di chi teme di non fare in tempo.
Il convento piccolo e all’aspetto povero, si mostrava aderente alla chiesa; alto due piani, con le finestrelle piccole; e sovrastava alle famose sepolture o catacombe, ove i cadaveri, ridotti in scheletri vestiti di sacco o di roboni, stanno schierati in più ordini. Spettacolo triste e nel contempo riprovevole e ridicolo dell’uomo, in atteggiamenti, che tolgono all’onestà della morte ogni grandezza ed ogni profondità di mistero. Ma in quei tempi, pareva rendere ai vivi l’orrore della vita, con lo spettacolo orrendo di quel che diverremo: ossa e null’altro. L’illusione che sotto la pietra e dentro la bara, il corpo rimanga intatto, si distrugge; le ossa sono tutte simili e noi non riconosciamo le fattezze amate nei sogghigni dei teschi.
Il Meli attraversò il portico dinanzi la chiesetta, piegò la testa, vedendo nella navata l’immagine della Madonna, coricata fra le candele accese; e salì le scale del convento.
Era quasi deserto. La festa chiamava i frati nella chiesa e nella cucina: solo qualche vecchio con la barba bianca e lunga errava nei corridoi.


Luigi Natoli: L'abate Meli. Il volume comprende:
L'Abate Meli, romanzo nella versione originale pubblicata a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia dal 30 settembre 1929
Giovanni Meli, studio critico pubblicato nel 1883
Le poesie di Giovanni Meli pubblicate da Luigi Natoli su Musa Siciliana, con traduzione a fronte in italiano a cura di Francesco Zaffuto
Prefazione e presentazione dell'opera a cura di Francesco Zaffuto.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli Libri e Musica Palermo
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