mercoledì 15 maggio 2019

Luigi Natoli: La signora Clara Stella. Tratto da I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina

All’angolo della strada di S. Sebastiano, dove essa finisce sotto le mura della Torre della Vittoria, v’era una casa a un piano, di modesta apparenza, con due balconi dalla ringhiera di ferro battuto e un portoncino nè grande nè piccolo, ornato di un mascherone di stucco. Ai giovani di Messina quella casa non era ignota: bisognerebbe anzi dire non era stata ignota; giacché se da prima la frequentavano con assiduità, da quattro o cinque mesi picchiavano invano al portoncino, che non si apriva se non per una sola persona, l’illustrissimo signor don Gregorio Fiordimonte, barone del Gibiso.
Bisogna però dire che dopo qualche tentativo infruttuoso, quando si seppe che la signora Clara Stella era sotto la protezione del barone del Gibiso, nessuno pensò più a sollecitare il favore di essere ricevuto.
La signora Clara Stella era un bel prodotto di seme iberico in terreno italico; era cioè nata in Napoli da padre spagnuolo e da madre napoletana; dal padre aveva ereditato il colorito roseo della carnagione, il biondo rossiccio dei capelli, caratteri forse delle antiche stirpi celtiche, l’orgoglio e l’ingordigia; dalla madre l’opulenza delle forme, gli occhi neri, vellutati, le grazie del parlare e quel fascino particolare che hanno le donne di Napoli. Erano le sole cose che si sapevano di lei; come fosse vissuta nella giovinezza, perché fosse venuta a Messina non si sapeva.
Era capitata un anno innanzi, durante le feste della Madonna della Lettera, –  diceva lei per sciogliere un voto alla miracolosa immagine –  diceva qualcuno per seguirvi un bel tenente della guarnigione spagnuola, che però s’era ammalato di febbri perniciose appena giunto in Messina e ne era morto.
La signora Clara Stella non diede nessuna pubblica manifestazione di un dolore senza conforti; ma trovò che l’aria di Messina le si confaceva, che v’era della gente molto ricca e ambiziosa, e non troppi rigori: e rimase. Poiché aveva ventiquattro anni, era bella, aggraziata e promettente, trovò ben presto dei cuori disposti a consolarne la vedovanza: ciò che ella accettò, ma, probabilmente per non patire altri dolori, non si legò a nessuno ma variò con saggia scelta, come si conveniva a una signora del merito. Aveva in tal modo allargata la cerchia delle sue amicizie fra i giovani del patriziato e dei grandi mercanti, e anche fra i padri, che non sdegnavano, con tutta la prudenza necessaria, passar qualche oretta dalla signora Clara Stella. Ella era così graziosa, così piena di vezzi, e diceva tante paroline tenere e dolci in quel suo dialetto armonioso e suggestivo, che non c’era di meglio per cacciar le malinconie della vita monotona.
Del resto la signora Clara Stella pareva preferisse i padri; e non aveva forse torto; erano più prudenti, più sicuri, meno esigenti, e più generosi.
Da cinque mesi aveva conosciuto il signor Don Gregorio Fiordimonte, il quale aveva sentito parlarne tanto, che s’era risoluto finalmente di farle una visita. L’effetto fu superiore all’aspettativa; quell’uomo di quarantacinque anni fu così preso dai vezzi sapienti di quella donnina di venticinque anni, che ritornò a visitarla con entusiasmo giovanile. Comunicò il suo entusiasmo alla bella napoletana? La conclusione fu che qualche giorno dopo il primo incontro, il signor barone del Gibiso fu il solo uomo al quale si aprisse il portoncino della strada di S. Sebastiano. La casa si vide adornata di bella tappezzeria e di mobili nuovi; e se esternamente conservò il suo aspetto modesto, internamente acquistò l’aria di agiatezza e di benessere delle case signorili; la signora Clara Stella ebbe una schiava bianca per servirla, e uno schiavo moro per custodirla; servitori fedelissimi di don Gregorio, che compivano anche un ufficio di polizia segreta a sicurtà della sospettosa gelosia del barone del Gibiso.
Egli era infatti geloso: una gelosia fatta di paure e di sospetti; che però egli sapeva celare sotto le sue maniere di padrone assoluto, abituato a comandare.
Clara Stella non aveva avuto bisogno di grande studio per conoscere a fondo il suo amico. Col fine intuito delle donne s’era accorta che don Gregorio s’era perdutamente innamorato di lei; e che sotto quelle apparenze imperiose di padrone, e in quello sfoggio di volontà, v’era tutta la debolezza di un amore senile, dalla quale poteva trarre partito. Nella sua mente cominciarono a balenare dei pensieri confusi, delle torbide ambizioni di ricchezza e di possanza, che ancora non prendevan forma determinata, ma ronzavano inquieti intanto, tormentando il suo spirito.
Si mostrava umile, sottomessa, servizievole, accarezzando la vanità dispotica del suo don Gregorio; inebbriandolo nel tempo stesso di carezze e di tenere parolette, acuendone i desideri con improvvisi e ben simulati pudori, e riducendoselo, senza parere, umile e supplichevole come un bambino. Quando egli le faceva qualche ricco dono, ella si mortificava, se ne sdegnava quasi.
- Perché? che bisogno c’è mio grazioso signore? dunque credi che io abbia bisogno di regali per volerti bene? No, no, mio tesoro; io ti voglio bene tanto tanto, per te, unicamente per te!...
Egli arrossiva di piacere; ma col suo tono imperioso rispondeva:
- Taci! non voglio osservazioni; lo sai. Quando io ti regalo qualche cosa, tu devi accettarla, senza discutere. Voglio così: te l’ho detto...
Quel pomeriggio, col quale incomincia la nostra storia, don Gregorio Fiordimonte era andato, come di consueto a visitare la signora Clara Stella. Vi si recava la mattina, e vi si tratteneva qualche ora; nel pomeriggio spesso vi ritornava e non rincasava che a notte alta. La mattina la signora Clara Stella, fingendo un’aria di mistero e di verecondia gli aveva detto che aveva una gran cosa da comunicargli: e per quanto don Gregorio avesse insistito, essa con grazia, ma con fermezza irremovibile, si era rifiutata...



Luigi Natoli: I Cavalieri della Stella o La caduta di Messina. - Romanzo storico siciliano ambientato nella Messina del 1600
Nella versione originale pubblicata in 156 puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1908
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