giovedì 9 maggio 2019

Luigi Natoli: il fantasma di donna Costanza... - Tratto da: L'Abate Meli

Una casa a un piano, con tre balconi ornati di un motivo settecentesco, e con le ringhiere di ferro, a collo di cigno; con un mascherone satiresco nel portone logoro e spento; coi muri anneriti dal tempo e dalla muffa, con un aspetto lugubre, diffondeva la sua tristezza nella strada che prendeva il nome dal palazzo dei marchesi Lungarini.
I vetri rotti, gli scuri serrati, i ragnateli che si stendevano nell’arco del portone, tra i ferri della raggera sovrapposti ai balconi, rivelavano l’abbandono in cui la casa era lasciata.
Lo stesso abbandono mostravano due o tre alberi che si alzavano dietro il muro di un giardino inselvatichito.
Non un segno di vita.
Il sole stesso, che la illuminava di sbieco e per poche ore, pareva avesse fretta di andarsene; perché la sua luce, facendo meglio apparire le crepe e i buchi, accresceva l’orrore di quella casa.
L’ombra e il silenzio eran quelli che gli convenivano. Si sarebbe detto che, per qualche delitto commesso in tempi remoti, sentisse sopra di sè il peso di una terribile maledizione; per cui la gente la fuggisse con terrore.
La gente del vicinato la guardava pavida e sospettosa; e quando era costretta a passarvi d’innanzi, affrettava il passo, come per paura che qualche essere soprannaturale e diabolico dovesse uscirne per afferrarla.
Difatti era comune credenza che quella casa abbandonata dagli uomini fosse abitata da spiriti; e c’era chi affermava di aver veduto una notte attraverso le fessure errare un lume; chi curioso, si era arrampicato sul muro del giardino; di là era balzato sul balcone, e aveva posto l’occhio alla vetrata; ma era subito fuggito e così spaventato, che per poco non era precipitato giù.
Aveva veduto una “malombra” tutta bianca, con una candela accesa in mano, che veniva verso la vetrata. Era spaventevole.
La notizia si sparse subito: l’uomo fu interrogato, se ne volevano i particolari; ma egli non poteva e non sapeva dir altro che la “malombra” aveva la faccia nera, ed era tutta avvolta in un lenzuolo bianco.
La curiosità vinse altri: ma la paura li trattenne dall’andare sui balconi a guardare. Quelli che abitavano nelle case di fronte, e che mai si erano accorti di lumi od altro, forse perché andavano a letto prima che il fantasma apparisse, vegliarono, e dalle loro finestre socchiuse tennero gli occhi sulla casa sfitta.
A mezzanotte videro le imposte del balcone aprirsi lentamente e nel quadrato buio della stanza la “malombra” bianca, che dileguò a poco a poco.
Non vollero vedere altro. Si segnarono, recitarono degli scongiuri e il domani confermarono che nella casa v’erano gli spiriti: e li avevano veduti.
Allora si cercò come e donde vi fossero venuti: uno dei più vecchi della contrada disse:
- Non vi scervellate. Quella è l’anima di donna Costanza, che fu uccisa e morì sul colpo, saranno cinquant’anni addietro. Fu uccisa dai fratelli per vendetta dell’onore offeso.
La storia era breve e tragica.
Donna Costanza Giordano apparteneva ad una famiglia di “arrendatari” cioè che viveva di rendita, virgulto di cadetti di vera nobile ed antica casa baronale, della quale oramai non aveva che il cognome e le relazioni; non le ricchezze ed il titolo.
Era figlia unica di don Placido, ma non sola: aveva due fratelli: don Mario, il maggiore, e don Paolo, l’ultimo nato.
Quando ella toccava i quindici anni, i genitori morirono un dopo l’altro, nello spazio di pochi mesi. Don Mario rimase capo della famiglia. Era un uomo autoritario; troppo chiuso, troppo serio per la sua età; pretendeva cieca obbedienza a qualunque costo, senza transazioni, senza debolezze di sorta, senza neppur cedere alla ragione, quando pur riconosceva di aver torto o di pretendere una cosa ingiusta. Non mai un lampo di tenerezza nel suo sguardo, nè una parola dolce nella sua bocca. Le passioni che agitavano il suo petto, non trasparivano fuori: la sua stessa collera non aveva scatti: era fredda, ma inesorabile.
Don Paolo gli ubbidiva ciecamente, sia perché educato a riconoscere l’autorità del primogenito, al quale, seguendo le antiche usanze, dava del voi; sia per l’imperio che questi esercitava sopra di lui.
Donna Costanza, che aveva l’indole della madre, dolce e sentimentale, cresceva fra questi due fratelli; come un tenero fiore desideroso di aria e di luce, costretto a vivere nell’ombra.
Senza essere propriamente una bellezza, donna Costanza aveva occhi meravigliosi; sotto l’arco delle sopracciglia nere, ombreggiati da lunghe ciglia vellutate che parevan segnate col bistro, le pupille nerissime e profonde avevano un fascino che incantava. Il loro sguardo scendeva nel cuore e lo turbava; rimescolava il sangue, ne accelerava il ritmo, faceva scorrere pei nervi un brivido. Ella, però, ignorava questa potenza, ma don Mario se ne era impensierito. Quegli occhi erano capaci di innamorare di primo acchito. E questo egli voleva impedire.
Certamente, non pensava che donna Costanza dovesse rimaner nubile; ma voleva sposarla a chi gli pareva più conveniente; voleva trovarle un marito ricco, non troppo giovane, capace di guidarla. Ed ella doveva accettare il marito proposto senza discutere. Le ragioni del cuore non entravano nel sistema di don Mario.
La mattina del 1754 essi andarono, come solevano, a S. Francesco dei Chiodari, per assistere alle funzioni religiose…




Il volume comprende: 
L'Abate Meli, romanzo nella versione originale pubblicata a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia dal 30 settembre 1929
Giovanni Meli, studio critico pubblicato nel 1883
Le poesie di Giovanni Meli pubblicate da Luigi Natoli su Musa Siciliana, con traduzione a fronte in italiano a cura di Francesco Zaffuto
Prefazione e presentazione dell'opera a cura di Francesco Zaffuto

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