Il tribunale del
Sant’Offizio era stato in quegli anni allogato nella vecchia regia normanna,
che, per l’abbandono in cui l’avevano lasciato i re aragonesi e i vicerè nel
secolo precedente, era in più parte inabitabile. Quando alla metà del secolo i
vicerè restaurato il palazzo regio ne fecero la loro sede, il Sant’Offizio
passò al Castello a mare: lo Steri l’ebbero molto più tardi.
La folla dunque corse al
palazzo reale, dove non era ancora giunta la notizia della sommossa e della
fuga del vicerè; e l’Inquisitore generale, fra Miguel Cervera se ne stava
tranquillamente, quando il mugghio di quella tempesta lo fece accorrere alla
finestra per vedere che cosa fosse: ma quando vide al suo affacciarsi tutta
quella moltitudine eccitata coprirlo di contumelie e di minacce, avvilito cercò
di mettersi in salvo, invocando nel tempo stesso l’aiuto dei famuli e degli
addetti. Ma lo spavento aveva disperso tutti: e la folla, abbattuta facilmente
la porta, si rovesciava nelle sale, come un fiume che inondi.
- Dov’è fra Michele? –
andavano gridando: e mettevano ogni cosa sossopra – Bruciate quei libracci! –
Bruciamo tutto!... – Liberiamo i prigionieri! – Alle Carceri! Alle Carceri!...
Le grida s’incrociavano,
chi ubbidiva all’uno, chi all’altro; una schiera frugava per trovare
l’inquisitore, mentre altre accumulavano nel cortile libri, tavoli, sedie; e
altre sfondavano le porte delle prigioni, e traevano fuori uomini e donne
spauriti e non sicuri se non eran portati a morte, o liberati: ma come si
accorgevano che eran liberi, pazzi di gioia e del desiderio di vendicarsi, si
gittavano in quell’opera di devastazione.
A un tratto si udì gridare
trionfalmente: – “Eccolo! Eccolo!” – Avevano scovato fra Miguel nelle stalle;
nascosto in un angolo della greppia e coperto di paglia. Un piede rimasto mal
coperto lo aveva indicato. Tirato fuori, livido di paura, egli domandava mercè,
e intanto minacciava i castighi eterni se lo molestavano. Ma quelli che lo
tenevano, ridevano, e si apparecchiavano coi coltellacci a dargli un saggio delle
torture che egli aveva inflitto, quando mastro Piededipapera si fece innanzi
gridando:
- Un momento! Ascoltatemi
tutti! noi siamo cristiani, abbiamo un’anima, e non dobbiamo macchiarla di un
sacrilegio, che appena il papa ce ne potrà assolvere: e non possiamo andare a
Roma noi; buscarci l’inferno eternamente, andiamo! Non alletta nessuno: e
daremmo una soddisfazione a questo degno sacerdote. Contentiamoci di mandarlo a
raggiungere il suo compare don Ugo; e accompagniamolo anzi, con tutti gli onori
che gli spettano.
Fra Miguel guardava con
occhio riconoscente l’oratore; che la folla ascoltava se questo diceva sul
serio; qualcuno se ne sdegnava: perché voleva sottrarre alla vendetta quel
tormentatore della città? Ma Piededipapera, sorridendo finemente sotto il naso,
continuò:
- Noi dunque, per rispetto
all’olio santo con cui l’hanno unto, non gli torceremo un capello, anche perché
li ha rasi; e per maggior rispetto lo vestiremo di vesti pontificali e lo
faremo andare a cavallo!...
Ci fu chi indovinò e rise;
e il riso si comunicò ai più vicini, senza che sapessero il perché. Mastro
Piededipapera disse alcune parole all’orecchio dei più vicini, che
sghignazzando corsero di qua e di là. la folla stava ora curiosa, e fra Miguel
guardava con occhio smarrito, non capendo quel che si tramava. Ed ecco tornare
uno tirando per la cavezza un ciuco, e un altro con una mitra, di quella che si
mettevano ai penitenti del Sant’Uffizio, mezzo bruciacchiata.
Allora si capì: una
fragorosa risata scoppiò: fra Miguel intanto fu messo a cavallo dell’asino; si
formò un corteo burlesco, e fra grida, sghignazzamenti, sberleffi,
l’inquisitore generale, fu condotto per la via Marmorea. Ogni tanto una manata
di fango lo colpiva, qualche torsolo gli rovesciava la mitra; gli schiamazzi crescevano;
il frate smorto, roso dall’ira impotente, ma temendo che da un momento
all’altro lo uccidessero, taceva. Ogni tanto mormorava: – “Jesus, abbiate misericordia del vostro servo!”
Il corteo guidato da
mastro Jacopo giunse alla Cala, dove di solito le galere di Sicilia stavano
all’ancora: ma quella volta non ve le trovarono: le galere avevan salpato per
ordine di don Ugo, il quale approfittando che la folla era corsa altrove uscito
dal suo nascondiglio era andato ad imbarcarsi ed aveva fatto prendere il largo.
ma altre galere ce n’erano. Mastro Iacopo fece scavalcare fra Miguel, lo
accompagnò sulla galera, e gli augurò il buon viaggio con un inchino burlesco.
- Vossignoria se ne torni
in Spagna, ora: che qui non è aria per i suoi polmoni!
E sbarcato, ordinò al
capitano di portarlo via, se non voleva presa ed affondata la galera.
Luigi Natoli: Squarcialupo.
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