Cappella Palatina dedicata a S. Pietro è, forse, il più prezioso
gioiello dell’architettura siciliana, sorta dalla fusione degli stili e delle
ornamentazioni gotici, bisantini ed arabi. I musaici del portico del 1506
furono rifatti nel 1800; ma il vestibolo è avanzo dell’antico portico; sei
delle colonne sono di granito egiziano. A sinistra del portico, incastrata sul
muro è una iscrizione trilingue (araba, greca, latina) che ricorda un orologio
fatto nel 1142 da un artefice di Malta, con macchine e ruote congegnosissime.
Questa cappella fu
cominciata a edificare nel 1129 dal re Ruggero II, finita nelle sue parti nel
1132, e consacrata nel 1140; però alcuni musaici sono dell’epoca aragonese. Il
tempio, in forma di basilica a tre navi è lungo 23 metri, e largo 13; le ogive
poggiano su due file di colonne antiche di granito e di cipollino con capitelli
corinzi e compositi, cinque per lato; ma le colonne dell’arco principale della solea e quelle della protesi e del diaconico sono addoppiate. La solea
s’alza su cinque gradini; e la croce è sormontata da una cupola alta 18 metri, nella quale s’aprono otto finestre. Il
soffitto, di legno, elegantemente scolpito e adorno di rosoni contornati
d’iscrizioni cufiche. Bellissino l’ambone,
dalla parte della protesi, sorretto da colonnine; accanto al quale un importante
candelabro alto 4 metri e mezzo, di marmo bianco con ornati e figure, opera del
secolo XII. Il coro, di stile gotico lombardo è opera moderna. Le pareti sono
in basso coperte di grandi tavole di marmo inquadrate in bei fregi a musaico, e
in alto sono istoriati da pregevoli musaici su fondo d’oro, i cui soggetti sono
cavati 34 dall’antico testamento, 7 dalla vita di Gesù, 5 da quella di S. Paolo
e 9 da quella di S. Pietro. I più antichi musaici sono nel coro, che rimontano
all’epoca di Ruggero, eccezione fatta della figura della Vergine, restaurata ai
tempi nostri. In fondo all’abside maggiore vi è una grande figura del Cristo
che benedice, tenendo in una mano un libro aperto, su cui in greco è scritto
“Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina fra le tenebre, ma avrà la
luce della vita”. A giudizio di tutti questa cappella è un capolavoro
dell’architettura medievale e, forse, la più bella del mondo.
Presso alla Solea, dalle due navi minori si scende
in una specie di cripta, che la tradizione vuole sia stata la primitiva chiesa
ove si fermò S. Pietro venendo dall’Africa. Sull’altare di questo sotterraneo
si eleva il Crocefisso che ornava la
Sala dei giudizi del Sant’Offizio. Vi è una Madonna
delle Grazie, d’incerto autore, e due lapidi sepolcrali, una delle quali
chiude il cuore e le viscere del vicerè Emanuele Filiberto di Savoia, morto nel
1624.
Nell’antisagrestia due
bassorilievi in marmo; uno rappresenta il battesimo di Ferdinando II di
Borbone, l’altro gli sponsali di Maria Cristina di Borbone con Carlo Felice
duca di Genova, e quelli di Maria Amalia di Borbone con Luigi Filippo. Nella
sagrestia è importante il tabulario, contenente diplomi greci, arabi e latini;
fra essi l’atto di consacrazione della chiesa scritto in lettere d’oro sopra una
lamina d’argento nel 1140. Notevole una preziosa cassetta araba d’avorio con
iscrizione cufica, e un ostensorio del secolo XVII. La porta della sagrestia,
che chiude l’archivio, è di bronzo con ornamenti dell’epoca normanna.
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