Quando c’erano gravi
faccende da risolvere, il Senato convocava i cittadini a consiglio; e la
campana della parrocchia di Sant’Antonio ne dava l’avviso. I cittadini
accorrevano; ma né la corte, né le sale bastavano ad accoglierli, quando eran
molti; e gran parte restava fuori, dinanzi la porta del palazzo, la quale, in
quel tempo non era dove è ora, ma dalla parte opposta, su quella che oggi è la
piazza Bellini. Questo inconveniente dava luogo a tumulti, per cui più tardi fu
deliberato, che intervenissero soltanto i consoli delle maestranze, come
legittimi rappresentanti del popolo; e si formò così un vero e proprio
consiglio civico, che s’adunò più regolarmente, ebbe un capo detto sindaco, e
attribuzioni proprie, fra le quali quella di sindacare l’opera amministrativa
del Senato. Nel 1516 però questa riforma non era avvenuta, e al suono della campana
di Sant’Antonio il popolo accorreva, come negli antichi comuni, dinanzi
all’arengo.
Quando mastro Iacopo
giunse c’era già della gente: i più, artigiani; egli entrò dunque nella piccola
corte, ascoltando i discorsi, dicendo la sua, gittando qualche barzelletta. A
poco a poco l’atrio si empiva: la campana continuava a sonare e la gente veniva
da ogni parte. Avevano aperto anche la porta della curia (quella che guarda a oriente e porta la legenda Pax huic domui) per
dare maggior sfogo alla moltitudine. Su nelle stanze, il pretore, che era Lisi
Bologna, parlava coi giurati e con parecchi signori. V’era della elettricità
nell’aria; e si vedeva nei volti, nei gesti, in quella specie di aspettazione
concitata che precede i grandi avvenimenti.
- Ah! ah! don Ugo manda i
suoi avvocati! – disse mastro Iacopo, vedendo entrare il magnifico Blasco
Lanza.
Il giurista attraversò la
folla, gittando qua e là qualche sguardo preoccupato ma simulando un aspetto
tranquillo e sicuro di sé, e forse anche un po’ sdegnoso. Egli confidava
probabilmente nella sua doppia qualità di dotto ed eloquente uomo e di
autorevole inviato dal vicerè; ma questa seconda qualità non aveva più
ascendente sul popolo. Il consiglio o comizio aperto, cominciò la discussione
se don Ugo potesse ancora esercitare il suo ufficio: il magnifico Blasco Lanza
naturalmente sosteneva di sì, fondandosi sopra i capitoli di re Giovanni, che
mutavano e correggevano il vecchio diritto, ed erano in pieno vigore: e con
gran copia d’argomenti e sottigliezze giuridiche, dimostrava che don Ugo
conservava la sua autorità, e poteva legalmente compiere tutti gli atti.
Ma Giovan Luca
Squarcialupo lo interruppe:
- In nome di quale re egli
eserciterebbe il suo ufficio?
- In quello di Carlo, acclamato con tutte le forme, re di Sicilia.
- In quello di Carlo, acclamato con tutte le forme, re di Sicilia.
- Magnifico Blasco Lanza,
voi dimenticate che fino a quando un re non giura personalmente o per suoi
procuratori, di osservare la costituzione del regno, non può esercitare i suoi
poteri reali: e questo non è stato abolito, messer Blasco. Il re è acclamato,
ma non ha giurato; egli ancora non regna: e don Ugo non può governare in suo
nome, e non può governare in nome del re morto!
Blasco Lanza alla
obbiezione, che raccoglieva un mormorio di approvazione, fu pronto a
rispondere, ricorrendo alle sottigliezze giuridiche e alla dialettica
aristotelica; ma Giovan Luca lo interrompeva ogni momento, con negazioni,
finchè, uscendo a un tratto dal campo della discussione, gridò con veemenza:
- Blasco Lanza, voi,
siciliano, difendete lo straniero! Voi tradite la patria!...
Queste parole sollevarono
un tumulto: mastro Iacopo Piededipapera di tra la folla gridò:
- Cacciatelo fuori! Se ne
vada a Catania!...
E allora la folla cominciò
a vociare, minacciosa.
- Fuori don Blasco! Fuori il dottore! Fuori il catanese!...
- Fuori don Blasco! Fuori il dottore! Fuori il catanese!...
Si videro pugni e bastoni
levati: Blasco Lanza sentì il pericolo; per istinto si trasse verso i giurati,
come per cercar protezione. Il capitano di città, il signor Vincenzo Corbera,
gli si pose dinanzi, facendo segno con le mani, come per raccomandare la calma,
e il pretore e i giurati, che avrebbero voluto condurre le cose in modo da
giungere a un accordo, cercavano anch’essi di placare l’eccitazione popolare.
Ma la folla urlava:
- Fuori il traditore!
fuori il catanese!
Approfittando della confusione,
il capitano di città fece uscire Blasco Lanza da una porticina, e di là, per
una scaletta interna, giunse alla porta occidentale del palazzo; donde il
giurista, salito a cavallo, si allontanò di galoppo, per portare a don Ugo la
notizia dell’insuccesso e del pericolo corso. La folla non si avvide
della sua scomparsa, che quando egli era orma fuor d’ogni violenza: ma invece
di quetarsi, cominciò a prendersela col pretore e coi giurati che lo avevano
fatto fuggire.
Luigi Natoli: Squarcialupo.
Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori, nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1920.
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
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