giovedì 26 aprile 2018

Luigi Natoli: la rivolta contro don Ugo Moncada. Tratto da: Squarcialupo.


Quando c’erano gravi faccende da risolvere, il Senato convocava i cittadini a consiglio; e la campana della parrocchia di Sant’Antonio ne dava l’avviso. I cittadini accorrevano; ma né la corte, né le sale bastavano ad accoglierli, quando eran molti; e gran parte restava fuori, dinanzi la porta del palazzo, la quale, in quel tempo non era dove è ora, ma dalla parte opposta, su quella che oggi è la piazza Bellini. Questo inconveniente dava luogo a tumulti, per cui più tardi fu deliberato, che intervenissero soltanto i consoli delle maestranze, come legittimi rappresentanti del popolo; e si formò così un vero e proprio consiglio civico, che s’adunò più regolarmente, ebbe un capo detto sindaco, e attribuzioni proprie, fra le quali quella di sindacare l’opera amministrativa del Senato. Nel 1516 però questa riforma non era avvenuta, e al suono della campana di Sant’Antonio il popolo accorreva, come negli antichi comuni, dinanzi all’arengo. 
Quando mastro Iacopo giunse c’era già della gente: i più, artigiani; egli entrò dunque nella piccola corte, ascoltando i discorsi, dicendo la sua, gittando qualche barzelletta. A poco a poco l’atrio si empiva: la campana continuava a sonare e la gente veniva da ogni parte. Avevano aperto anche la porta della curia (quella che guarda a oriente e porta la legenda Pax huic domui) per dare maggior sfogo alla moltitudine. Su nelle stanze, il pretore, che era Lisi Bologna, parlava coi giurati e con parecchi signori. V’era della elettricità nell’aria; e si vedeva nei volti, nei gesti, in quella specie di aspettazione concitata che precede i grandi avvenimenti. 
- Ah! ah! don Ugo manda i suoi avvocati! – disse mastro Iacopo, vedendo entrare il magnifico Blasco Lanza. 
Il giurista attraversò la folla, gittando qua e là qualche sguardo preoccupato ma simulando un aspetto tranquillo e sicuro di sé, e forse anche un po’ sdegnoso. Egli confidava probabilmente nella sua doppia qualità di dotto ed eloquente uomo e di autorevole inviato dal vicerè; ma questa seconda qualità non aveva più ascendente sul popolo. Il consiglio o comizio aperto, cominciò la discussione se don Ugo potesse ancora esercitare il suo ufficio: il magnifico Blasco Lanza naturalmente sosteneva di sì, fondandosi sopra i capitoli di re Giovanni, che mutavano e correggevano il vecchio diritto, ed erano in pieno vigore: e con gran copia d’argomenti e sottigliezze giuridiche, dimostrava che don Ugo conservava la sua autorità, e poteva legalmente compiere tutti gli atti. 
Ma Giovan Luca Squarcialupo lo interruppe: 
- In nome di quale re egli eserciterebbe il suo ufficio?
- In quello di Carlo, acclamato con tutte le forme, re di Sicilia.
- Magnifico Blasco Lanza, voi dimenticate che fino a quando un re non giura personalmente o per suoi procuratori, di osservare la costituzione del regno, non può esercitare i suoi poteri reali: e questo non è stato abolito, messer Blasco. Il re è acclamato, ma non ha giurato; egli ancora non regna: e don Ugo non può governare in suo nome, e non può governare in nome del re morto!
Blasco Lanza alla obbiezione, che raccoglieva un mormorio di approvazione, fu pronto a rispondere, ricorrendo alle sottigliezze giuridiche e alla dialettica aristotelica; ma Giovan Luca lo interrompeva ogni momento, con negazioni, finchè, uscendo a un tratto dal campo della discussione, gridò con veemenza: 
- Blasco Lanza, voi, siciliano, difendete lo straniero! Voi tradite la patria!...
Queste parole sollevarono un tumulto: mastro Iacopo Piededipapera di tra la folla gridò: 
- Cacciatelo fuori! Se ne vada a Catania!...
E allora la folla cominciò a vociare, minacciosa.
- Fuori don Blasco! Fuori il dottore! Fuori il catanese!...
Si videro pugni e bastoni levati: Blasco Lanza sentì il pericolo; per istinto si trasse verso i giurati, come per cercar protezione. Il capitano di città, il signor Vincenzo Corbera, gli si pose dinanzi, facendo segno con le mani, come per raccomandare la calma, e il pretore e i giurati, che avrebbero voluto condurre le cose in modo da giungere a un accordo, cercavano anch’essi di placare l’eccitazione popolare. Ma la folla urlava: 
- Fuori il traditore! fuori il catanese!
Approfittando della confusione, il capitano di città fece uscire Blasco Lanza da una porticina, e di là, per una scaletta interna, giunse alla porta occidentale del palazzo; donde il giurista, salito a cavallo, si allontanò di galoppo, per portare a don Ugo la notizia dell’insuccesso e del pericolo corso. La folla non si avvide della sua scomparsa, che quando egli era orma fuor d’ogni violenza: ma invece di quetarsi, cominciò a prendersela col pretore e coi giurati che lo avevano fatto fuggire.


Luigi Natoli: Squarcialupo. 
Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori, nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1920. 
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