Gravi notizie da Messina, avevano messo in apprensione
Bianca di Navarra. Dei corrieri avevano riferito che una vasta cospirazione si
tramava tra alcuni baroni malcontenti, i quali volevano approfittare
dell’assenza del re, per sollevare la Sicilia, stimando agevole sopraffare un
governo affidato a una donna.
Dicevano che questi congiurati avessero
aperte pratiche col re Ladislao di Napoli, non indietreggiando all’idea di
restituire l’isola alla casa d’Angiò, pur di rinnovare un nuovo periodo di
anarchia, nel quale avevan molto da guadagnare.
Era il primo e fiero intoppo nel quale
urtava la regina in questa sua prima prova di governo.
Fino all’anno innanzi essa aveva
amministrato le terre della Camera reginale, che non le davan molto da fare, perché
abitate da popolazioni tranquille, e contente del mite governo femminile; ora
si trovava fra le mani le redini di uno stato più vasto, turbolento e
difficile.
Bianca di Navarra temeva il divampare della
guerra civile. Lo scoppio di una rivolta avrebbe nuovamente diviso il regno,
pel destarsi delle ambizioni: i nomi di latini e catalani sarebbero nuovamente
riapparsi, ma questa volta non certo per distinguere nettamente due
nazionalità; perché nell’una o nell’altra fazione vi si sarebbero trovati
indifferentemente baroni siciliani e catalani di antica e nuova importazione.
Non interesse politico o nazionale dunque,
ma ingordigie individuali, che avrebbero gittato il regno nell’anarchia.
Re Martino non aveva, partendo, lasciata la
regina senza un consiglio; le aveva anzi dato quei medesimi consiglieri, che il
re d’Aragona suo padre aveva posto intorno a lui, tra’ quali messer Sancho de
Lihori; ma aveva escluso messer Bernardo Cabrera, che per la sua qualità di
grande giustiziere credeva di aver diritto di governare, anche sopra la regina.
Messer Bernardo era in disgrazia.
Inviperito contro il re, si era ritirato nei suoi feudi, e, temendo punizioni e
rappresaglie, aveva cominciato col fortificare le terre più strategiche, e con
l’impadronirsi della terra di Palazzolo.
Quest’atto di ribellione aveva costretto il
re a marciar contro il Cabrera, e a porre l’assedio alla terra, difesa da un
Giacomo lo Campo, luogotenente del conte di Modica; ma questi, non sentendosi
forse abbastanza sorretto dal baronaggio nel quale sperava, aveva trovato più
conveniente sottomettersi.
Il re gli aveva perdonato, ma non gli aveva
ridato il suo favore.
Messer Bernardo dunque se ne stava nelle
sue terre, come un lupo nel suo covo: ma la regina sospettava che nella
cospirazione di Messina c’entrasse anche lui, ispiratore o fomentatore occulto,
pronto a uscire apertamente in campo, a rivolta scoppiata.
In questo frangente essa sentiva il bisogno
di circondarsi di cuori fedeli e di spade provate ai cimenti.
In queste condizioni Giovannello, giungendo
a Catania, trovava la regina Bianca.
In quali diverse circostanze egli entrava
nella città questa volta! e qual cumulo di memorie scese nell’anima sua,
attraversando le strade ben note! Egli passò dinanzi la casa di Tarsia, ma le
finestre erano chiuse; passò dinanzi la taverna della Ruota, dove s’incontrò
con Simone, vide l’Etna gigantesco, e ricordò la grotta e Filippo Chiaramonte…
Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca
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