Tullio Spada ebbe una
stanzetta al secondo piano che dominava la strada, lo specchio d’acqua e
lasciava abbracciare con uno sguardo l’ampiezza del golfo, e dietro la linea
del castello dell’Ovo, la punta di Posillipo verdeggiante di boschetti e sparsa
di ville.
In quel quadro così
ridente che commosse e lasciò pensoso Tullio, la massa cinerea e cieca del
castello, gittato in mezzo al mare come una sentinella, metteva una nota di
tristezza. Un singhiozzo in un canto.
Tullio Spada lo guardava
con un senso di raccapriccio, o per lo meno di avversione; e rievocava qualcuno
dei ricordi che vi erano legati. Ricordava che esso era stato fabbricato dal re
di Sicilia Guglielmo I, che era stato fortificato da Federico II, il quale vi
aveva conservato il suo tesoro. Ivi Carlo d’Angiò, infierendo crudelmente
contro la famiglia del vinto re Manfredi, aveva chiuso in orrida cella la
principessa Beatrice; e su quelle acque Ruggero Loria, il grande Ammiraglio,
con quaranta galere Siciliane aveva assalito e sbaragliato settanta galere
angioine, fatto prigioniero il figlio di Carlo D’Angiò, e liberata la
principessa. Ivi era stata chiusa anche la regina Giovanna; e chi sa quante e quali
vittime della prepotenza dei re e dei vicerè!
Tullio ricordò quelle
vicende, contemplando dal balcone la massa grigiastra e trista del castello; ma
un altro spettacolo più rattristante gli si offerse, abbassando lo sguardo
sulla strada; dove le donne del popolo, luride, cenciose, oziavano al sole, dinanzi
alle porte delle case, o frugavan le teste capellute dei figli, quasi nudi,
sdraiati per terra ai loro piedi; o dove quattro o cinque lazzari seduti per
terra giocavan disperatamente alle carte.
E allora Tullio pensò a
tutta quella folla povera, ignorante, che pur vivendo in tanta bellezza di
natura e di cose non sapeva nulla della vita civile; e confondeva insieme il
furto, l’assassinio e le pratiche religiose; che si immolava pel re, commetteva
barbarie pel re, senza saperne la ragione; che odiava ogni novità senza capirla;
e alla quale quel re non aveva dato che una sola istituzione: il carcere; una
sola libertà, quella di starsene al sole, sudicia, oziosa, cantando,
elemosinando, rubando. E di pensiero in pensiero Tullio vide in quelle
rivoluzioni scoppiate contemporaneamente, quasi, a Napoli e a Palermo, il
principio di un’era novella; era di redenzione anche per quella plebe, per
tutte le plebi del regno; e un sentimento di speranza gli aprì l’animo a un
sorriso.
Luigi Natoli: Braccio di Ferro avventure di un carbonaro.
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