mercoledì 24 maggio 2017

Luigi Natoli: Il segreto del Romito. Tratto da: Il paggio della regina Bianca


In quel viluppo sfolgorarono due occhi. Lampo improvviso che si spense quasi subito.
Giovannello era rimasto immobile, sulla soglia della grotta, guardando in quell’angolo con una curiosità che non era senza commozione.
I suoi occhi, dopo un istante, si abituarono all’ombra, e scorsero più precisamente una sembianza d’uomo, seduto per terra, con le spalle appoggiate alla roccia, il cui corpo spariva sotto una pelle di montone.
Egli non sapeva giudicare se quell’uomo, che chiamavano il Romito, fosse vecchio.
Il suo volto era emaciato e nero, i suoi capelli e la barba bianche; ma non aveva rughe, salvo una diritta, profonda, fra le due sopraciglia, come solcata da un pensiero costante e tormentoso. Le sue membra consunte non avevano le tracce della senilità.
Nella grotta si diffuse un silenzio alto e solenne, come se qualche mistero vi si dovesse compiere. Il pastore s’era ritirato verso l’ingresso; Giovannello rimaneva in piedi, in un atteggiamento di riverenza; il romito teneva il capo chino sul petto, che gli si gonfiava ritmicamente al respiro difficile.
Giovannello aspettava, non osando rompere pel primo il silenzio. Volse lo sguardo in giro, per vedere la grotta.
Era un antro non molto profondo, dovuto in tempi immemorabili a un giuoco della lava che scendendo lungo le coste di una roccia, da due lati, vi aveva formato come due pilastroni, che a poco a poco, per altre lave, si erano esteriormente allargati, lasciando fra loro un gran vano. Nuove eruzioni vi si erano sovrapposte, ed avevan formato una solida e alta roccia sui due pilastroni. Era così rimasta aperta e difesa quella spelonca, sotto la lava grigia, ferrigna, sulla quale le acque piovane qua e là avevano disteso muffe giallastre e striature rossicce.
In un angolo v’erano due sassi, posti in modo da formare un focolare: la cenere bianchiccia che v’era accumulata, il fumo che anneriva le due facce interne dei sassi e la roccia indicavano che l’uso ne era frequente.
Accanto ai sassi era una caldaia annerita dal fumo; dagli orli si riconosceva ch’era di rame. Da un chiodo infisso tra le fessure della roccia pendeva un mazzo di fascelle vuote.
Si sentiva un odore indistinto di arsiccio e di latte inacidito.
Dalla bocca della grotta veduta fra le nere pareti la vallata verdeggiante abbagliava.
Il pastore s’era messo a sedere fuori, sopra un sasso, con quell’apatia che la vita fra le rocce aspre e solitarie aveva impresso al suo volto e al suo cuore.
Il romito finalmente levò il capo, guardò il giovane, e con una voce lieve, ma con un tono che lo fece rimescolare, gli disse:
- Siedi accanto a me…
Il giovane non gli vide muover le labbra; la voce pareva uscisse dalle profondità della terra: era la voce di un altro mondo. Egli ubbidì con una specie di religiosa commozione.
Così, forse, nei tempi preistorici, gli uomini si chinavano sulle tombe per ascoltare le voci dei trapassati, ai quali chiedevano consigli, auguri, benedizioni.
Dopo un minuto di silenzio, il romito disse lentamente e quasi scandendo le parole:
- Figlio di Andrea Chiaramonte, t’ho aspettato lunghi anni… eccoti qui, dunque. Dio sia benedetto!... Siedi e ascolta....
 
 
 
 
Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca.
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