Da qualche settimana nel
teatro di santa Lucia si eran venuti formando due partiti, uno favorevole,
l’altro contrario a madamigella Bellucci; il primo era composto di gente
disinteressata, che ubbidiva a un senso di giustizia, o che perdonava alla
bellezza le lievi mende dell’arte; il secondo si capisce bene che doveva esser
formato di tutti i vagheggiatori delusi, i quali, per non confessare che essi
compivano una rappresaglia, esageravano i difetti di scuola di madamigella,
trovavano imperfezioni nella sua bellezza; e per mortificarla applaudivano
fragorosamente la seconda ballerina.
Il duchino di Monteverde
era stato fra i più accesi partigiani della Bellucci, e aveva anzi creato una
specie di ordine cavalleresco per difenderne la virtù delle gambe: essendosi
una sera al ballo, presentata in scena con un vestito sparso di nodini di seta,
uno di questi si staccò e cadde nell’orchestra. Il duchino lo tolse di mano al
violinista, e se ne fregiò le risvolte del vestito; e allora tutti i partigiani
della Bellucci adottarono il nodino azzurro sulla risvolta, e si battezzarono
gli Azzurri. Quelli del partito
avverso, visto che la seconda ballerina, madamigella Carletti, prediligeva i
nastri bianchi, si fregiarono di piccoli rosoni di seta bianca, e si chiamarono
i Bianchi. Nell’ora del ballo il
teatro si divideva in Azzurri e Bianchi, guelfi e ghibellini di
Tensicore, che alternavano applausi e disapprovazioni; e non era raro che il
contrasto, fuori del teatro, continuasse a bastonate.
Ma la delusione patita dal
duchino, portò un nuovo contributo alle forze dei Bianchi. Egli apparentemente
si tenne in disparte, per essersi troppo compromesso in favore della Bellucci;
ma istigò molti amici a passare fra i Bianchi, e scritturò alcuni giovani della
piccola borghesia, pagando loro la sedia in platea per fischiarla.
La rappresentazione era
andata bene, come tutte le sere; anzi c’era maggior concorso di gente, nelle
sedie della platea, della qual cosa il partitario era contento, attribuendolo
alla bontà dei virtuosi di canto e di strumenti. Ma all’ora del ballo, tutta
quella maggioranza di giovani si vide improvvisamente ornata di rosette bianche
con meraviglia di quelli che erano nei palchetti. Si sospettò qualche novità;
onde una sospensione d’animi, un’attesa, e anche una certa preoccupazione.
Cominciò il ballo; dieci
ballerine, vestite all’eroica, un po’ scollate, intrecciarono alcune figure
dinanzi a un’ara di carta dipinta, dietro la quale era un’erma, anch’essa di
carta che rappresentava un fauno o il dio Pane; la Carletti, che faceva da
guidatrice, al suo entrare piroettando, fu coperta di applausi straordinari,
contro i quali reagirono gli zittii degli Azzurri, che erano in minoranza. I
due partiti si erano raggruppati uno di qua, uno di là, guardandosi in cagnesco
e pronti a menar le mani; ma i Bianchi si mostravano più audaci. Il partitario,
che stava dietro le quinte, e osservava, cominciò a impensierirsene, e
trepidava per la Bellucci che doveva di lì a poco entrare in scena. E non aveva
torto. Appena essa uscì di fra le quinte di fondo, correndo leggermente sulle
punte dei piedini, un urlo l’accolse, e dietro l’urlo una tempesta di fischi,
di sibili, di miagolii, che pareva dovesse subissare il teatro. Essa si fermò
stupita, quasi colpita da un fulmine....
Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba. Un inedito di Natoli pubblicato per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 01 febbraio 1926. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori nel 2015.
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Nella foto: Illustrazione di Amorelli alla puntata del Giornale di Sicilia del 1926
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