Quelli erano tempi tristi
in vero. Il vicerè, in dispregio dei capitoli del regno, che egli aveva giurato
di osservare, faceva e disfaceva a suo piacimento: il Sant’Offizio affollato di
familiari e foristi avidi di far quattrini, sotto la specie di pietà religiosa,
pareva preso dalla mania di distruggere i supposti marrani; i collettori
esercitavano le più inumane fiscalità per riscuotere le gabelle imposte dal
Parlamento del 1514, al quale il Vicerè aveva quasi strappato un grosso donativo, di cui aveva preso per sé
cinquemila fiorini. Donativo, come si sa, era il nome grazioso col quale si
designava l’ammontare delle somme da riscuotere nel triennio per l’erario, i
cespiti su cui dovevano gravare, e la ripartizione fra le città e le terre.
Quel Parlamento aveva imposto una gabella su le farine, che era la più esosa;
onde un malumore crescente, che quell’inverno si era fatto più minaccioso.
Questo malumore
serpeggiava di più nel popolo minuto e nella piccola borghesia, che più
risentivano il peso del malgoverno; ma un altro e non meno vivace serpeggiava
nella nobiltà feudale, per quei Capibrevi che Luca Barbieri, Segretario e Regio
Consigliere del fisco e Capitan Giustiziere, andava compilando; dai quali molti
temevano di vedersi privati di feudi, che i loro antenati, o essi stessi,
avevano usurpato con la violenza e con la frode; e che dovevano naturalmente
restituire al fisco o alle terre demaniali. Fautore di questa revisione era il
vicerè, il fiutava un mezzo per commettere arbitri contro la nobiltà e far
denari.
Inoltre aveva fortemente
danneggiato il paese, con certi provvedimenti presi di suo capo, in seguito
alla scoperta di una quantità di monete false o assottigliate che erano in
circolazione. Don Ugo aveva ordinato che si portasse tutto il denaro negli
uffici del fisco: oro, argento, bronzo; minacciando gravi pene ai trasgressori;
ma restituì l’oro e l’argento con un terzo di meno, e il bronzo pel suo valore
come metallo fuso. E per sopperire alla mancanza di metalli preziosi confiscò
argenterie e gioie delle chiese, dei monasteri, dei privati; senza un criterio,
con la consueta burbanzosa prepotenza.
I capitoli del regno, ai
quali alludeva Giovan Luca, e che stabiliva uno dei fondamenti del diritto
pubblico siciliano prescrivevano che morendo un re, il vicerè da esso nominato
cessava dal suo ufficio e doveva affidare il potere al Grande Contestabile
Almirante del regno, o a qualche altra alta carica; né il successore poteva
confermare o nominare il vicerè, se prima non giurava fedeltà alle costituzioni
del regno, perché solo dopo questo giuramento era riconosciuto come sovrano
legittimo e poteva esercitare la sua autorità. Il Parlamento era geloso custode
di queste costituzioni, e non ammetteva che il diritto ereditario precedesse il
riconoscimento legale da parte della nazione.
Il re Giovanni, che aveva
ben veduto in questo una menomazione della corona, aveva pubblicato nuovi
capitoli, per la conservazione in carica dei vicerè in caso di morte del
sovrano; ma questi capitoli, come contrari alla norma costante e lesivi dei
diritti del regno non erano stati seguiti.
La morte di re Ferdinando
apriva ora un conflitto fra le costituzioni del regno e i capitoli del re
Giovanni. Sventuratamente questa volta c’era per mezzo un vicerè odiato; e
nessuna occasione poteva presentarsi più favorevole di questa, per cacciarlo via.
Appunto per ciò il conte di Golisano si era affrettato a venire in Palermo,
appena tornato in Spagna.
In Ispagna era andato per
invito della corte, apparentemente, e vi era stato trattenuto con pretesti; in
realtà don Ugo aveva intrigato per allontanarlo dalla Sicilia, perché ne aveva
paura. Don Pietro Cardona, ricco, generoso, di grande animo, valorosissimo
capitano, che sotto le bandiere di Prospero Colonna si era illustrato nelle
guerre d’Italia, godeva di una grande autorità fra’ signori, e di una grande
popolarità nelle classi medie e nel volgo. La sua presenza e le sue esortazioni
avevano sedato il tumulto sanguinoso eccitato da Paolo Pollastra, e ricondotto
la tranquillità in Palermo. Ce n’era abbastanza per destare gelosia, sospetti e
paure nell’animo del vicerè.
Luigi Natoli: Squarcialupo.
Prezzo di copertina € 24,00 - pagine 684
Pubblicato per la prima volta in volume da I Buoni Cugini editori nel marzo del 2015, dopo novant'anni dalla pubblicazione a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1924.
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