- Noi siamo di Caccamo, e non intendiamo
avere altri signori, che non siano della vostra casa; abbiamo militato sotto il
magnifico messer Andrea vostro padre, e quando egli fu assassinato dal re,
seguimmo messer Enrico, vostro zio… Siamo venti, banditi dalla nostra terra,
ricercati dalle milizie del re come ribelli… perché fedeli alla vostra casa… Abbiamo
aspettato il momento opportuno per librarvi dalla prigionia, messere; perché
voi, ultimo ed unico erede del gran nome, voi siete stato prigioniero del
barone di Ciminna per ordine del re!... Ora eccovi libero, messere: voi siete
il nostro signore. Comandateci.
La luna sorgeva in quel momento di fra le
nubi, dietro i neri dorsi taglienti dei monti, e diffondeva una luce azzurra e
blanda sul colle, dal quale non era ancor fuggito l’estremo barlume crepuscolare.
Iluminava i profili di quegli uomini, con tocchi di luce, resi gagliardi dalle
ombre.
In quell’ora, in quel colle, con quel
silenzio, le parole di quell’uomo rude e affettuoso, fiero e sottomesso,
selvaggio e devoto, avevano una solennità eroica e divina.
Giovannello taceva; si sentiva il cuore
gonfio di una grande commozione.
Per la prima volta assaporava la gioia di
sentirsi libero e signore di sé: lo stupore dei primi momenti, cedeva ad una
specie di ebbrezza ineffabile. Per la prima volta sentiva di possedere la chiave
della sua esistenza.
Guardò quegli uomini con un sentimento di
riconoscenza, di ammirazione e di tenerezza. Quegli uomini, che vagavano ribelli,
perseguitati, avevano conosciuto messer Andrea Chiaramonte, avevano combattuto
con lui e per lui.
Stette un po’ in silenzio, non sapendo
che risolvere: non aveva una meta, non aveva mai pensato che la sua vita
potesse indirizzarsi a qualche scopo; non conosceva quelle contrade, non sapeva
dove conducesse il sentiero che si intravedeva appena tra le rocce e le
macchie.
La notte scendeva. Da lontano si udì
echeggiare lugubre e lungo l’ululato di un lupo.
Luigi Natoli - Il paggio della regina Bianca
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