Federigo fu di animo
grande; buon capitano, accorto ma non profondo politico, seppe far fronte alle
grandi difficoltà, tenendo testa per quarant’anni al Papato, alla casa d’Angiò,
alla Francia, ai Guelfi d’Italia, alla casa Aragona, alle armi, alle scomuniche,
ai tradimenti; mantenendo l’indipendenza del Regno da abile nocchiero. I Siciliani
videro in lui il principe che difendeva l’indipendenza, e per quarant’anni gli
diedero sangue e averi; e con essi la forza e la costanza. Fu amico degli
studi, e studioso egli stesso; fece venire in Sicilia Arnaldo di Villanova,
celebre alchimista e filosofo, e con lui aveva in animo una riforma religiosa,
alla quale s’era ispirato nel proporre un ordinamento generale della scuola, il
primo che si vedesse. Fu legislatore sapiente, il quarto dopo Ruggero II,
Guglielmo II e l’imperatore Federico. Ma sventuratamente lasciava tre mali; un
successore inetto, un baronaggio strapotente, la guerra ancora accesa.
La stella della dinastia
aragonese tramontò con lui, per non risorgere più.
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