Fu una pioggia di fuoco; ma gli
ufficiali spagnuoli avevano potuto riordinare
le compagnie, e rispondevano vigorosamente al fuoco. Il monastero era avvolto in una cerchia di nubi cineree, squarciate da
lampi e da tuoni.
L'ingegnere Secolo intanto
cercava di trasportare i suoi pezzi sopra un'altra collina più alta; impresa
ardua, giacché bisognava tirare i cannoni a braccia fra macchie e pruni e
alberi; tuttavia da quei cannoni bene appostati dipendeva l'esito del combattimento.
Il capitan generale si recava
da per tutto, osservando, ordinando, provvedendo. Dalla parte di tramontana
gli spagnoli avevano superato la barricata, e si spingevano sotto le mura; i
messinesi avevano dovuto ritirarsi dietro la seconda linea, sorretti dai monaci e dagli altri
insorti che tiravano dalle finestre.
Allora il capitano generale Lazzaro ebbe un'idea audace; mutar la difesa in un
contrattacco; gittar due forti colonne sui reggimenti regi, ad arma bianca, sbaragliarli,
rovesciarli sul terzo reggimento, recarvi il disordine, e approfittandone
prenderli di fronte e di fianco. Spiccò subito ordine a tutti i capi,
avvertendo che l'assalto a ferro freddo doveva essere simultaneo da due parti,
non appena piazzati i cannoni,
al lancio di un razzo.
Gli
spagnoli erano troppo preoccupati a sostenere il fuoco e a cercar di sloggiare
i ribelli, per accorgersi di un movimento, ben mascherato del resto. Galeazzo,
distese una trentina di tiratori scelti sul limite della boscaglia, per
sostenere il fuoco, e raccolse gli altri, coi cavalieri della Stella, in
colonna. Il capitan generale radunava altri trecento uomini nel
sacrato della chiesa, coi migliori capitani, lasciando un centinaio di
tiratori alle finestre e ai muri per sostenere il fuoco. L'ingegnere che era
giunto a collocare i suoi cannoni, tirò un colpo, e allora il capitan generale
mandò per aria il suo razzo. Dalla fronte della chiesa e dal fianco della
collina, due torrenti impetuosi, con alte grida terribili, si slanciarono
all'assalto dei due reggimenti spagnuoli.
La
mischia fu terribile. Il numero
rendeva quasi insormontabile la linea degli
spagnuoli, ma l'impeto dei messinesi aveva qualcosa della
irresistibilità degli alti marosi oceanici. La loro inferiorità numerica era
ricompensata a usura dall'impeto, dal coraggio, da tutti i dolori, da tutte le
vendette accumulate in tanti anni di
servaggio, rese più acute, più feroci, più violente dai disagi presenti, dalla
fame, dai morti.
Quella
pugna notturna, intorno a quel monastero magnifico e solenne, sotto lo scampanare fitto e incessante, tra il lampeggiare
rosseggiante delle schioppettate, nell'ondeggiar del fumo lievemente cinereo, aveva qualcosa di fantastico.
Ogni uomo pareva moltiplicato. La tenue luce lunare obbligava gli occhi ad acuirsi per non sbagliare: la vita pareva tutta
condensarsi nella potenza visiva e nella elasticità del braccio. Gli spagnuoli,
ripiegando lentamente, erano venuti a poco a poco avvicinandosi al reggimento
che si ostinava a battere il monastero dalla parte della grande ala: il capitan
generale allora ordinò a Galeazzo di compiere col suo distaccamento e coi cavalieri
della Stella un movimento aggirante su pei colli, in modo da prendere alle
spalle gli spagnuoli, e tagliata loro la ritirata sulla Scaletta, ributtarli in
mare. Era precisamente ciò che gli spagnuoli avevano tentato invano.
Galeazzo
si slanciò con entusiasmo, con un centinaio d'uomini, mentre il grosso del
presidio continuava nella sua lenta avanzata, protetto dai tiratori che seminavano
infallibili la morte nelle file nemiche.
Eran
cinque ore che si combatteva; l'orologio del monastero impassibile e sereno, aveva
suonato la mezzanotte; e la luna pareva si fosse fermata nell'alto dei cieli
per illuminare quelle stragi....
Luigi Natoli
I cavalieri della Stella ovvero La caduta di Messina
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