- Ascoltate, madonna. Sa
Dio se mi duole dover parlare di cose
che non fanno piacere; ma è necessario per voi e per me. Sono trascorsi cinque
anni da che siamo maritati: ma Dio non ha voluto benedire la nostra unione… Ho
tanto aspettato da voi, un figlio che mi succedesse: ma la fortuna avversa ha
inaridito in voi le sorgenti della vita… Or io non posso lasciare con me
spegnersi la stirpe dei Ventimiglia. I miei maggiori mi legarono un obbligo
sacro di continuare la loro discendenza, a gloria del nome e del regno… ed io
non posso mancare. Speravo che le nostre nozze ci avrebbero reso felici; esse
invece son divenute fonte di amarezza, per voi e per me. È necessario perciò
che riprendiamo la nostra libertà...
- Era appunto questo che
volevo proporvi; perché troppo, messer Francesco, avete mortificato il mio amor
proprio di donna e di moglie, tenendomi alla pari della vostra concubina…
Domani io lascerò la vostra casa…
- Non basta…
- Che c’è altro?
- Forse non mi sono
saputo esprimer bene, madonna Costanza. Una separazione non basta, se noi
restiamo legati; è un divorzio che noi dobbiamo domandare tutti e due
d’accordo…
- Sta bene, – disse
madonna Costanza, pallida, ma senza dar indizio di turbamento.
Messer Francesco se ne
stupiva.
- S’intende che
restituirò tutta la vostra dote…
- Di questo vi
intenderete coi miei, messere.
E così dicendo, madonna
Costanza se ne andò con passo fermo, con altera nobiltà nella sua camera, dove
si chiuse, lasciando il marito balordo per lo stupore. Egli aveva immaginato di
dover sostenere una lotta, che probabilmente lo avrebbe eccitato; si trovava
ora vinto dalla grandezza d’animo di Costanza, e indispettito di dover riconoscere
di uscire da quel discorso umiliato, anzi avvilito. Ma poi pensò, per consolarsi,
che quella magnanimità era forse freddezza d’animo: che madonna Costanza non
l’aveva mai amato.
Il domattina madonna
Costanza si fece portare in lettiga nel palazzo di suo zio, il vecchio Giovanni
Chiaramonte. Nessuno seppe come ella avesse trascorsa la notte: il velo nel
quale s’era avvolta nascondeva il pallore del volto, le occhiaie livide e le palpebre
arrossate.
Nel palazzo non trovò
che le donne e il giovane Manfredi, suo cugino. Giovanni Chiaramonte, suo zio,
era partito con la spedizione capitanata dal re Pietro, e che doveva coadiuvare
l’impresa del re di Germania: l’altro Giovanni, suo fratello, era al seguito di
questo re: Manfredi era ancor troppo giovine, e le donne erano imbelli. Nessuno
poteva dunque prender le difese di lei. Alle donne, che vedendola così pallida
e disfatta, le domandavano che cosa le fosse accaduto, rispose da prima
brevemente e celando la verità; ma finì poi col confessare tutto tra i
singhiozzi. La confessione suscitò orrore ed ira. Era un’infamia! Non doveva
cedere, no! Bisognava che lo spergiurato non godesse la libertà che
domandava!... Ah povera figlia! Quale sventura!...
Ma ella ricacciò
indietro le lagrime. No! Aveva risoluto di rompere ogni legame. Era meglio. Che
vendetta sarebbe mai stata quella di ricusare il suo consenso, se messer
Francesco, potente com’era, poteva ottenere i divorzio anche senza
l’assentimento di lei? Ora voleva vivere in pace, nell’ombra di un monastero...
Luigi Natoli
Tratto da: Mastro Bertuchello (Latini e Catalani vol. 1)
Prezzo di copertina € 22,00 - Sconto 15% - Spedizione gratuita.
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