La vasta piazza Marina in Palermo era
quasi deserta in quell’ora mattutina del mese di maggio del 1401; e l’ampia
mole dello Steri vi proiettava un’ombra lunga e trasparente.
In quel tempo, era assai
più vasta di quel che è oggi, e serbava ancora le tracce di seno di mare
prosciugato. Il porto, ridotto ora alla Cala, era più profondo; le acque del mare
si spingevano su un tratto della odierna via Porto Salvo, lambendo quasi il
muro del palazzo delle Finanze e un tratto della piazza della Fonderia.
Così detta perché da
prima era seno di mare, da più d’un secolo era prosciugata; essa era chiusa
dalla parte di mezzogiorno dalle mura della Kalsa, qua e là abbattute, e dalla
parte di levante da uno sprone di terra, (ancor visibile nello stereobate su
cui sorgono l’Hotel de France, e il
palazzo dell’Intendenza,) il quale finiva sulla Cala, con una chiesa, sotto la
quale si agganciava la catena da chiudere il porto; dal che la chiesa prese il
nome di S. Maria della Catena.
Questo sprone, nei tempi antichissimi
formava un molo naturale, difendeva e proteggeva, il porto profondo, a cui la
città doveva il suo nome greco: Panormo (tutto porto). Dalla parte esterna, sul
mare, al limite del quartiere arabo della Kalsa, e cioè dove ora corre la via
Butera, su questo sprone era un borgo di Greci, con la loro chiesa di S. Nicolò.
Da loro prese il nome la porta, che, rifatta, serba fino ad oggi il nome di
Porta dei Greci.
La piazza Marina era dunque compresa fra
questo sprone più elevato, la parte alta della Kalsa, e giungeva fin presso
allo sbocco della via del Parlamento, comprendendo la via Bottai e l’area del
palazzo delle Finanze; il porto, dal lato ove è la chiesa di S. Sebastiano,
penetrava ancora un po’ di più, e giungeva fino all’Arsenale, il Tercianatus dei vecchi documenti,
che ha lasciato il nome alla piazzetta di Terzana.
Sullo sprone non v’erano edifici
notevoli, salvo che lo Steri, l’antica e nobile dimora dei Chiaramonte, accanto
a cui la casa men bella dei conti di Cammarata e la chiesa di S. Maria della
Catena.
Dietro lo Steri sorgevano la chiesetta di
S. Antonio, ancora esistente, e la chiesa di S. Nicolò, or da un secolo circa
distrutta.
Le altre case intorno eran piccole
dimore, frammezzate da orti e giardini, tra i quali, dalla parte opposta allo
Steri, sorgeva nella sua bella architettura ogiva la chiesa di S. Francesco dei
Chiovari e accanto a essa si innalzava bruna, massiccia, fiera nei suoi merli,
con finestrette simili a feritoie, la torre di Maniace o volgarmente di Manau.
Fra quelle case v’era qualche taverna,
sulla cui porta una fronda di alloro rinsecchita serviva d’insegna.
L’erba cresceva nella piazza; e delle
capre dal pelo lungo e dalle corna lunghe, a spirale, pascolavano
tranquillamente.
L’odore delle alghe marine, deposte sulla
riva dall’alterna vicenda dei flutti, impregnava l’aria silenziosa.
Fra le barche tirate a secco alcuni
marinai col berretto rosso in capo, come si vedono ancora nel promontorio
sorrentino, stendevano le reti al sole; da un focolare improvvisato con due
sassi, si levava una spirale di fumo azzurro, che si allargava e si sperdeva in
alto.
Oltre le barche, nel vasto specchio
d’acqua del porto si scorgevano alcune galee e barconi e feluche; qualcuna
aveva già spiegate le vele e si accingeva a prendere il largo. Più in là ancora
il Castello a mare distendevasi con le sue torri massicce, l’ampia cortina
merlata, armata di bombarde, accanto alle quali, si vedevano biancheggiare le
grosse palle di pietra.
Più in fondo ancora Monte Pellegrino
disegnava nel cielo la sua massa rocciosa, coi fianchi verdeggianti di boschi,
e le cime indorate dal primo sole.
V’era una gran pace, una tranquillità
dolce e solenne a un tempo nell’aria fine e trasparente, per la quale
volteggiavano stormi di rondini, salutando il sole con piccoli gridi festosi.
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