La città di Palermo nel
1515, sebbene nella periferia avesse preso la forma che su per giù conservò
intatta, entro la cerchia delle mura esterne fino al 1860, non aveva
internamente la distribuzione topografica che venne assumendo nel corso del
secolo, e che nel 600 ebbe compiutezza e stabilità. Questa cerchia – in qualche
punto visibile ancora – è riconoscibile in quella serie di stradoni che la
costeggiavano e ne furono la via di circonvallazione: la quale partendo dalla
spiaggia, per le odierne via Lincoln, Tukery, Alberto Amedeo, e piegando per le
vie Volturno e Cavour va a finire là dove era il Castello a mare. Internamente
non c'era ancora la via Maqueda; e la parte più antica della città nel mezzo,
era la vera Panormus e conservava la
sua cinta di mura antiche e le sue porte e le sue torri, come una città dentro
la città, oramai inutili, qua e là rotte e tramutate in abitazioni. La strada
che negli atti ufficiali e nella cronaca aveva nome di via Marmorea giungeva
fino alla chiesa di Sant'Antonio, all'angolo della recente via Roma, dove era
una torre, che gli eruditi di quel tempo attribuivano a un nipote di Noè, e una
porta, che una volta dava sul mare, e i musulmani chiamarono infatti Porta di
mare. Ma il mare che in tempi remoti giungeva fino a questo punto, vasta
insenatura, chiusa a oriente da uno sprone – ancora visibile – sulla cui
estremità sorse poi la chiesa della Catena, si era a poco a poco ritirato, o
era stato disseccato: si era ristretto poi in quell'area che formò appresso la
piazza Marittima, oggi Marina, e finalmente si restrinse nella Cala.
Nel 1515 su tutta questa
nuova aria correvano strade e stradette, sorgevano chiese e palazzi, che furono
anni dopo abbattuti o tagliati, quando distrutta la torre e la porta, il vicerè
don Garsia de Toledo volle che si prolungasse la via Marmorea fino alla chiesa
di Porto Salvo; e le diede il suo nome.
La via Marmorea dunque
era né più né meno che l'attuale via Vittorio Emanuele. E se si pensa, che essa
era la via principale dell'antica Panormus,
si deve riconoscere come una delle più antiche strade cittadine del mondo,
rimasta quasi intatta là dove fu tracciata forse dai Fenici, certo ai tempi
greco-romani.
Era fiancheggiata di
palazzi magnifici, che conservavano l'aspetto di castelli con merli e torri, e
di ricche botteghe; lastricata di pietre, levigate; bella e sontuosa, destava
la maraviglia dei forestieri.
Quasi parallelamente a
essa correvano altre due strade, di qua e di là, lungo le mura antiche: specie
di boulevards; che finivano anch'esse
col congiungersi, a Sant'Antonio, con la via Marmorea. Una di queste strade,
partendo dall'alto, – dove ora è la Caserma, costeggiando l'episcopio e la
cattedrale, percorreva la strada, che anche allora si chiamava del Celso; la
quale si continuava con norme di via di porto Oscura, San Teodoro degli Scannati,
S. Antonio, ininterrottamente. Tre porte, antiche anch'esse, mettevano in
comunicazione questa strada, anzi questa parte della città, con quartieri che
erano sorti nelle bassure, dove in tempi remoti si prolungava la palude del
Papireto: ed erano la porta di Sant'Agata, – presso la chiesa omonima, la porta
degli Schiavi – in via Celso – e la porta Oscura, – a Bab as Sapa degli arabi – detta Oscura forse perché vi si giungeva
per un andito lunghetto e buio. Essa dalla piazza delle Vergini, metteva sul
principio della odierna Piazza Nuova; e chi scende dalla via Maqueda nella
piazza, guardi nelle botteghe a destra, e fatti pochi passi vedrà dentro una di
esse un mezzo arco sepolto fra le costruzioni posteriori. È quel che resta
della porta.
Ora siccome il suo
sbocco rimaneva più in basso dal livello della piazza delle Vergini, una specie
di scalinata percorreva gran parte dell'andito, sul quale si apriva qualche
stanza o stamberga, che forse un tempo serviva di alloggio alle guardie. Una,
in alto, scavata nel tufo, male intonacata, nera di fuligine, si era
trasformata in bottega e in abitazione....
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