Per le strade era un continuo passare e ripassare di gente. Torme di cittadini, armati correvano di qua e di là, o per dar la caccia a qualche avversario, o per recarsi là dove sentivano rimbombare qualche fucilata. Altri, portando indosso involti e fardelli, o cacciandosi dinanzi un asinello carico o un biroccino, s'avviavano per mettersi in salvo, temendo il rinnovarsi degli incendi, dei saccheggi, delle stragi del 1672. La più parte dei fuggiaschi erano di parte merla, scoraggiata dal sopravvento degli avversari. e soprattutto dalla impotenza a cui era stato ridotto lo stratigò, chiuso nel Palazzo reale, e circondato da ogni parte dagli insorti, che sempre più aumentavano. S'aspettavano naturalmente che i malvizzi vittoriosi rendessero loro la pariglia, e con maggior furore. Molti correvano alle barche e si facevan trasportare nel forte del Salvatore, come in un luogo sicuro; altri chiedevano ricovero nelle fortezze circostanti, a Rocca Guelfonia o al forte Gonzaga; ma i più uscivano alle campagne, per rifugiarsi o nelle loro terre, o nelle città demaniali delle vicinanze, per aspettarvi gli eventi.
Intanto dai forti, sebbene con minor frequenza, continuava il cannoneggiamento, cadeva qua e là qualche palla, spargendo la rovina e lo spavento; continuava nei pressi del Palazzo reale lo scoppio delle archibugiate; continuava sopra tutti i rumori della guerra la gran campana del Duomo, a chiamare il popolo alle armi.
Oramai la sommossa erasi tramutata in rivoluzione; sebbene nel balcone principale del palazzo della Banca, fosse stato collocato sotto un baldacchino il ritratto del re Carlo II, al quale la città dichiaravasi fedele; tuttavia di fatto si trattava di una vera e propria ribellione contro il governo; e i capi della Setta non celavano le loro mire repubblicane, non ostante che si andasse sussurrando copertamente di aiuti e protezioni del re di Francia. La cacciata del vicerè, gli assalti delle fanterie spagnole respinti, la presa del Palazzo reale avevano quasi ubbriacato la città. I più fieri malvizzi o che avessero dei torti da vendicare, o che cedessero a ferocia d'istinti, si erano posti alla caccia dei Merli, o dei sospetti; qualche vittima era stata immolata; qualche capo reciso, infilato a una picca portato in giro per la città; nel baluardo dell'Andria, affidato a don Giuseppe Marchese il Nero, si conducevano prigionieri che il Marchese, avido di sangue, martoriava, e poi nella notte faceva strangolare e gittar nelle fosse, o sospendere alle forche... In tre luoghi diversi erano state rizzate le forche; e la giustizia non presiedeva sempre alle sentenze di morte.
Messina si perdeva in un'orgia di vendette e di sangue.
Luigi Natoli - I cavalieri della Stella
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