lunedì 8 aprile 2024

Luigi Natoli e le rivolte in Sicilia: Oh Giove Liberatore!... Noi appenderemo al tuo tempio le nostre catene infrante. Tratto da: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano

Il gesto inusitato stupì il custode: Elio approfittò di quell’istante per strappargli il bastone, e alla sua volta minacciare il custode. 
- È tempo di finirla! – esclamò.
Le grida, il gesto, attirarono l’attenzione dei servi più vicini. Accorsero: quell’ultima esclamazione parve il segnale atteso. Cominciarono a gridare anch’essi, a chiamare i più lontani. Accorsero anche gli altri custodi, cercando di respingere gli schiavi al lavoro a colpi di bastone, che produssero naturalmente uno sbandamento. Ma Elio capì che non bisognava lasciarsi sfuggire quel momento; che bisognava incitare i compagni, incoraggiarli con un esempio. Si diede a bastonare il custode, gridando: 
- Avanti, avanti! Compagni, non fuggite!... Disarmateli!...
Il custode, tramortito da una randellata sul capo, cadde; la sua caduta, la vista del sangue, poterono più che le esortazioni di Elio; i servi si rovesciarono sui custodi, che, spaventati, si diedero alla fuga; alcuni furono raggiunti e caddero: furono finiti a colpi di bastone. Era il primo passo.
- Atenione! Atenione!...
Atenione già accorreva, chiamato dal tumulto; accorrevano gli schiavi che lavoravano più lontani, trascinando le catene. Il Cilicio vide quei tre o quattro custodi per terra sanguinosi; gli parve manifesta volontà degli Dei, levò alte le mani verso il cielo, ed esclamò:
- Oh Giove Liberatore!... Noi appenderemo al tuo tempio le nostre catene infrante.
E afferrato uno degli schiavi che portavano la catena ai piedi, con un sasso ne percosse fieramente gli anelli nel punto che li congiungeva ai cerchi, spezzandoli. Lo schiavo, libero, levò in mano la catena e allora gli altri cominciarono febbrilmente a spezzare i ferri; gli anelli si aprivano, le catene cadevano, fra le grida di gioia; e quei segni di servitù erano levati in alto trionfalmente, come se già con questo fosse conquistata e assicurata la libertà. Atenione veniva acclamato capo.
Intanto i custodi fuggiti erano corsi in casa, ad annunziare la rivolta a Caio Cecilio. 
Stava egli col figlio Manlio discorrendo con alcuni clienti nel suo tablinio(73), ma all’entrare improvviso dei custodi, balzò in piedi gridando fra il rimprovero e la paura:
- Che? Che modo è questo di entrare?
- Gli schiavi si sono ribellati!...
- Hanno ucciso quanti custodi hanno trovato! Bisogna salvarsi!
La vista di Atenione, che pareva arringasse la folla, lo illuse. Certo, pensò, Atenione tratteneva i servi, e li esortava a ritornare tranquillamente al lavoro; ma quando questi scorsero Caio Cecilio armato e seguìto da armati, levarono alte grida selvagge; e Atenione, innanzi a tutti, scotendo le catene spezzate, si mosse contro di lui esclamando: 
- O Caio Cecilio, or non è più tempo di violenze: deponi quelle armi e dacci la libertà.
- Ti darò la croce! – proruppe il cavaliere inviperito – Ti darò la croce, che gli Dei dell’Inferno non ti aiutino!
E si slanciò contro Atenione; ma si trovò dinanzi Elio: Elio, che aveva con uno scarto tolto Atenione, e si offriva in sua vece. Agli occhi suoi in quell’istante era apparsa Cecilia, che implorava grazia pel padre; e non poteva inveire contro di lui. 
- Caio Cecilio! – disse. – Non opporti a ciò che ti domanda Atenione; libera questa gente; risparmiati la vendetta che gli Dei fomentano nei loro cuori…
- Va’ a fare l’avvocato di costoro nel Tartaro(74)! – gridò Caio Cecilio.
Nel contempo Manlio esclamò:
- Questo parlerà meglio di te!
E gli lanciò il giavellotto che aveva in mano. Elio fu lesto a farsi da canto, e il giavellotto colpì uno schiavo. Fu il segno di un assalto generale. Gli schiavi, con una fitta sassaiola, e coi frammenti delle catene, contro le spade e le lance, impedivano a Caio Cecilio e ai suoi di avanzare. Una sassata fracassò la mascella a Manlio e lo rovesciò a terra. 
- Ah, maledetti! – urlò Caio Cecilio, credendo il figlio ucciso; e si chinò per sollevarlo, ma i suoi armati vedendolo piegarsi, ed essendo malconci e smarriti dalla sassaiuola, pensarono a mettersi in salvo, e fuggirono. Con un urlo di trionfo i ribelli si lanciarono sui caduti.
- A morte! A morte!
Caio Cecilio si rizzò in piedi.
- A morte! Sì!
E si fece largo con la spada; ma colpito alla testa si abbattè sul figlio. Uno schiavo gli fu sopra, gli strappò la spada, gliela affondò nella gola e gli altri, ubbriacati dalla vista del sangue, contendendosi le armi, con bastoni, con sassi, con le maglie delle catene, si gittarono sui caduti a tempestarli, dilaniarli. Fu un massacro tremendamente feroce. Ognuno aveva un torto, una violenza, un castigo da vendicare. L’odio, accumulatosi da anni, finalmente erompeva senza pietà: ogni braccio colpiva con una voluttà selvaggia. 
Una voce gridò:
- Alla casa di Caio Cecilio!
- Sì, sì! Alla casa!
Quella cinquantina di belve, lorde di sangue, sitibonde di nuove stragi, urlando, si mossero verso la villa. 
Nella casa v’era una aspettazione irrequieta: gli schiavi si guardavano fra loro, in silenzio; le ancelle si affacciavano a spiare; Chira, con le nari dilatate, come se aspirasse l’odore della strage, non poteva star ferma. Si aggirava per l’atrio, guardando le stanze, dove Cecilia con  la madre e la nutrice s’erano chiuse, pallide, spaventate e ansiose di notizie. Chira andava e veniva dinanzi a quelle stanze, come una tigre intorno alla muraglia di uno stabbio, affacciandosi ogni tanto e guardando i vari gruppi di schiavi, che discorrevano fra loro a voce bassa. 
Che cosa facevano? Che aspettavano? Perché non si sollevavano anch’essi, e non correvano in aiuto dei compagni? Avevano paura? Volevano schierarsi dalla parte di Caio Cecilio? Non avevano nulla da vendicare? Lei, sì; lei covava nel profondo del cuore un odio mortale contro Cecilia. 
In quel momento giungeva nella casa Atenione, e l’aria fu percossa dal grido dei ribelli, che lo acclamavano re...

Luigi Natoli: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano ambientato nella Sicilia del 102 a.C., al tempo della seconda guerra servile. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato con la casa editrice Sonzogno nel 1935.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
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