martedì 30 aprile 2024

Luigi Natoli e le rivolte in Sicilia: Miravano a liberare la Sicilia dalla servitù spagnuola e farne una monarchia indipendente... Tratto da: Fra Diego La Matina. Romanzo storico siciliano.

C’era infatti nell’aria quel non so che di aspettazione paurosa, il sentore di un avvenimento minaccioso, quasi un fremere del tempo. Lo sentivano tutti; e stavano in sospetto irresoluti sui mezzi per provvedere e difendersi.
Il Vicerè radunava cavalleggeri, e forniva il Castello di granaglie e di polveri quanto più nascostamente si poteva: ma pur qualche cosa ne trapelava, e dava ombra a questi, paura a quelli; le galere stavano pronte nel porto, sotto la difesa dei cannoni del Castello. In palazzo bauli e casse con argenterie, denari, roba, erano già belli e fatti per potere al più lieve segno esser posti in salvo sulle galere.
Ma il Senato aveva dovuto licenziare le guardie a cavallo, per volontà delle maestranze. Non c’era bisogno di quelle, perché a custodire il tesoro pubblico e il Palazzo pretorio provvedevano esse. In verità padrone del campo erano oramai le maestranze. Esse avevano salvato il paese dall’anarchia; avevano restituito l’ordine e la sicurezza, avevano in qualche modo democratizzato il governo della città, infondendo maggior vigore al Consiglio civico, introducendo nel Senato due rappresentanti popolari; avevano in loro potere i bastioni con le artiglierie, e la custodia delle porte; avevano impedito e impedivano che si rimettessero la gabelle abolite, e che si scemasse il peso del pane. Queste abolizioni e questo mantenere il pane di dodici once recavano gravi danni all’erario, e il Senato cominciava già a sentire l’impossibilità di pagare alcuni assegni, fra i quali i cosiddetti bimestrali dovuti alle case religiose, che già reclamavano. Qualche console che s’accorgeva del fallimento immanchevole non si mostrava alieno dal lasciar ripristinare i balzelli: ma le maestranze si opposero. C’era altro modo di provvedere, senza gravare sulla povera gente: c’erano le ricchezze esorbitanti accumulate da certi ordini religiosi; per esempio i gesuiti. Perché non incamerare il numerario di questi padri, che si diceva ingente e avrebbe restaurato le finanze del Comune? E un tentativo di prender con la forza le ricchezze che i gesuiti non eran disposti a cedere pel bene pubblico, ci fu; ma quei padri ricorsero al solito mezzo: presero il Cristo, lo posero sulla soglia fra candele accese, e si inginocchiarono col Sacramento in mano. E dinanzi a quei simboli della divinità, i popolani presi da riverente e sacro terrore indietreggiarono.
Mastro Giuseppe d’Alesi queste cose riferiva passeggiando sotto i portici con fra Diego, e gli confidava anche gli incitamenti che gli venivano da don Antonino Lo Giudice e dall’altro avvocato Giuseppe La Montagna; ai quali s’era aggiunto un altro giurista non meno valoroso e conosciuto, don Giuseppe Pesce; i quali miravano a liberare la Sicilia dalla servitù spagnuola; e farne una monarchia indipendente, come nei tempi antichi con provvide leggi a vantaggio della povera gente; una vera rivoluzione; buono stato e libertà. La corona si poteva dare al principe di Geraci che era di stirpe regale.
Ah far rivivere i tempi del buon Guglielmo, così vivo nella tradizione popolare; quando per terra e per mare il nome del regno di Sicilia era rispettato e temuto; e le città erano ricche, e le terre feconde, e v’era abbondanza di tutto e savie leggi che infrenavano le prepotenze, e punivano ricchi e poveri ugualmente! Era un bel sogno!... Invece ora tutta la ricchezza del regno se ne andava alla Corte di Madrid. Dei donativi votati dai parlamenti, più della metà se li prendeva il Re a suo arbitrio, del resto se ne prendeva ancora a titolo di regalo; quel che avanzava, povera cosa, serviva per diritti del Vicerè, dei suoi segretari, per la flotta e infine per la manutenzione dei porti, delle strade, dei fari e delle torri! Tutto denaro, che se il regno fosse stato indipendente, sarebbe rimasto nell’isola.
Fra Diego approvava e aggiungeva altre idee sue. Era stata una sciocchezza l’aver lasciato ai gesuiti il godimento di tante ricchezze. Scrupoli? E perché, non volendo violare la porta custodita dal Cristo, non erano entrati dalle finestre? E poi quel Cristo! Lui fra Diego era come papa Sisto: non voleva Gesù complice delle bricconerie: e quelle ricchezze i gesuiti le avevano accumulate a furia di bricconerie. No! nè essi, nè gli altri ordini religiosi dovevano possedere beni: Gesù aveva istituita povera la Chiesa; aveva anzi ordinato il disprezzo del denaro: e si leggeva nei Santi Vangeli: e povera doveva essere. Le spese del culto? il mantenimento di tanti frati e suore? A parte che ce n’erano troppi e inutili, essi dovevano vivere alla giornata, di elemosine: non possedere. Oh dove era il sacrificio che essi facevano a Gesù di lasciare il mondo, se guazzavano poi in un ricco ozio, fra quelle ricchezze terrene che dicevano di abbandonare?
Non era la prima volta che queste idee gli frullavano per la testa...
(Nella foto: Il Collegio dei Gesuiti di Palermo, oggi sede della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana)


Luigi Natoli: Fra Diego La Matina. Romanzo storico siciliano. 
Pagine 536 - Prezzo di copertina € 22,00
L'opera è la trascrizione del romanzo originale senza censure pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1924.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
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