lunedì 8 febbraio 2021

Luigi Natoli: Il tradimento di messer Corrado Capece. Tratto da: Il Vespro siciliano. Romanzo storico ambientato nella Sicilia del 1282

Messer Giorgio di Bissano, aveva desiderato e sollecitato invano il comando di una schiera di duecento uomini; che gli Anziani non avevano voluto affidargli, perchè una volta egli, spinto dalla sua presunzione, aveva portato al macello una squadra di cittadini, senza nessun pro.
I successi di messer Raone, che era arrivato fino ad oltrepassare le linee dei nemici, e giungere a Centorbi, ove si era fortificato messer Corrado Capece, avevano destato nell’animo di messer Giorgio un sordo livore, non soltanto contro messer Raone de Albellis, ma anche contro la città.
L’assedio andava intanto per le lunghe: lettere del re Carlo rimproveravano aspramente Guglielmo l’Estendart della sua inerzia, imponendogli di sbrigarsi; e ordinandogli che se la città fosse presa per forza d’armi, tutti gli abitanti fossero passati senza pietà a fil di spada.
Sire Guglielmo strinse di più l’assedio, distrusse le campagne intorno, impedì che giungessero anche celatamente viveri, ma la città armò un galeone per rifornirsi dal lato del mare. Ne fu dato il comando a messer Raone, che catturò tre barche regie piene di vettovaglie, e rifornì gli assediati.
Questo nuovo successo del valoroso cittadino parve l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Messer Giorgio giurò a se stesso di perdere l’odiato e fortunato rivale.
Erano gli ultimi dell’anno 1269: la città deliberò uno sforzo supremo, per liberarsi dall’assedio: messer Raone ebbe l’incarico di rompere con trecento fanti e sessanta cavalli nel campo nemico, all’improvviso, sul prima albeggiare del giorno dopo; intanto che le altre milizie, uscendo dalle postierle, e girando ai fianchi del nemico, intento a difendersi, avrebbero compiuto la strage.
Messer Giorgio approvò con vivo calore il disegno: e ottenne l’incarico di tenere una postierla. Un diabolico sorriso gli illuminò il volto; e fu creduta soddisfazione della vanità di comandar nuova impresa. Egli se ne andò su le mura, e sedutosi tra’ merli aspettò un poco, finchè fu raggiunto da altri cinque agostani.
Messer Giorgio gli porse un foglietto ripiegato, sul quale aveva scritto qualche motto. Il balestriere lo attorcigliò alla cocca del quadrello, legandovelo stretto, e appostatosi fra i merli, fece scattar la molla. Il dardo partì. Tutti e sei lo seguirono attentamente, lo videro percorrere la sua curva, e cadere sopra la torre di legno, che i francesi avevano piantato poco lontano dalle mura, per bersagliar la città con gli argani e coi mangani. Qualcuno lo raccattò, ne tolse il foglietto, scese dalla torre, e corse al padiglione di messer Guglielmo.
- È fatta, – disse messer Giorgio.
Un’idea infernale era nata nel suo spirito perverso, da un pezzo. Fingendosi amareggiato e scoraggiato dal volgere dello assedio, un giorno, sospirando, aveva detto:
- È una pazzia! come vuole il Comune sostenere l’assedio? Re Carlo è potente; la ribellione è domata, noi siamo soli. Un dì o l’altro saremo presi per fame o per assalto, e allora la vendetta del re cadrà sopra di noi... e che vendetta!
Con questi discorsi, quei tre si strinsero, fecero patto, cospirarono. Trovarono tre altri compagni. Una notte, due di essi erano a guardia di una postierla: si accordarono; e un di loro uscì non visto, discese nei fossi, corse al campo nemico. Preso dalle guardie e minacciato di morte, chiese di esser condotto dal capitano, cui aveva grandi cose da rivelare.
Messer Guglielmo l’Estendart dormiva; ma svegliato, accolse con diffidenza il traditore:
- Tu sei uno spione, e ti farò impiccare.
- Messere, non sono uno spione; ve ne fo sacramento. Ascoltatemi.
Gli rivelò ogni cosa: gli promise la città. Messer Giorgio avrebbe indicato il giorno opportuno: gli desser fede e avrebbero veduto quel che intendevano fare per la gloria del re.
Fu fermato così l’orrendo mercato.
Da quel giorno in poi gli sforzi dei Francesi, i tentativi di assalto della città s’allentarono. Furon creduti effetto delle forze scemate; e la facile credenza suggerì alla città il consiglio di approfittarne per liberarsi con un colpo ardito.
Il giorno passò negli apparecchi; ma la notte, per ristorar le forze, fu dato riposo a tutti, salvo le guardie poste alle torri e alle porte.
La notte era tenebrosa. Un vento furioso veniva dal mare; e lo scroscio delle onde, che rompevano furibonde nelle scogliere, empiva l’aria e copriva ogni altro rumore.
A poco a poco, strisciando per terra, senza fare alcuno strepito, come fantasmi, nella cupa notte, i soldati di Francia si calarono nei fossi, radunandosi dinanzi a la postierla custodita da messer Giorgio.
Messer Giorgio aprì la porta ferrata, aprì la saracinesca. La postierla dava in una specie di corridoio coperto, che conduceva in una piazzetta della città, dinanzi al mastio. I soldati di Francia vi si accumulavano. Quando furon oltre una cinquantina si gittarono improvvisamente sopra i sei traditori, li imbavagliarono, li legarono, li tennero prigionieri.
Allora irruppero nella piazzetta, al grido:
- Montjoie! Montjoie!
Era il grido di guerra angioino.
Gli altri Francesi che stavano nei fossi e nei dintorni accorsero, entrarono anch’essi nella postierla, invasero la piazza. Subitamente delle fiaccole furono accese, e ripetendo quel grido le schiere montarono sulle mura, sulle torri, uccidendo le guardie, che, sorprese dall’impreveduto e inesplicabile assalto, e incapaci a difendersi, chiamavano alle armi. Un solo soldato potè correre alle campane e dare a storno.
Le grida, il suono destavan di soprassalto: nessuno sapeva quel che fosse accaduto; sgomenti, stupiti, correvano alle finestre; qualcuno prendeva semivestito le armi; ma prima che potessero ordinarsi in difesa, la città era in mano dei Francesi, ebbri di quella vittoria che non costava loro un uomo nè uno sforzo.
Cominciò l’opera orrenda.
Allo squassar delle torce, delle quali il vento torceva e soffocava le fiamme, quelle torme avide di sangue e di stragi, armate di spade, scuri, picche, si lanciavano all’assalto delle case, al grido di guerra: Montjoie! Montjoie! Abbattevano le porte, salivano nelle stanze, ferivano, uccidevano ciecamente e pazzamente.
Sorpresi, seminudi, sparsi per le case, gli agostani, non rendendosi ancora conto come il nemico fosse entrato, presi da terrore, non combattevano, non fuggivano; il ferro nemico coglievali nello stupore, inermi e smarriti.
- La città è presa! la città è presa!...



Luigi Natoli: Il Vespro siciliano – Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1282, al tempo di una delle più famose rivoluzioni della Storia di Sicilia.
L'edizione, interamente restaurata a iniziare dallo stesso titolo, è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1915. 
Pagine 945 – Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133) Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15)

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