martedì 23 giugno 2020

Luigi Natoli: Il ritorno di Matteo Palizzi. Tratto da: Il tesoro dei Ventimiglia.


Sul lido una comitiva di cavalieri e di servi aspettava che qualcuno sbarcasse. Lo avevano visto nel cassero della nave, lo avevano salutato con grandi segni di allegrezza, e ora parlavan fra loro, nell’aspettazione, comunicandosi impressioni e commenti.
Finalmente, buttata una lunga asse dal fianco della galera alla spiaggia, l’aspettato scese a terra, abbracciò e baciò alcuni di quei cavalieri, strinse la mano cordialmente ad altri; poi tutti inforcarono i cavalli, che i servi tenevan per la briglia, e s’avviarono, lasciando che i servi scaricassero i bauli. La strada da percorrere non era lunga: lo sprone, che dalla chiesetta della Catena, dove le galere s’erano attraccate, costeggiava la vasta piazza marittima, o Marina, e in fondo al quale torreggiava la mole del palazzo dei Chiaramonte, non ancora terminato.
L’arrivo di quel personaggio empiva così di gioia quelli che erano andati a riceverlo, che il volto di lui pallido e fosco, si illuminava a quando a quando di un sorriso. La cavalcata entrò nel palazzo chiaramontano, che per antonomasia era già indicato col nome di “Steri” (osterium).
Allora l’ingresso non era quello sconcio portone che vi fu aperto quando il nobile palazzo cadde in mano degli Inquisitori del Sant’Officio, e che ancora si vede. L’ingresso era nel lato meridionale, dalla parte della Dogana; e forse dove sono ora quegli ignobili antri in servizio di questa amministrazione. Aveva dinanzi un vasto piano, che da un lato era chiuso dalla Chiesa di S. Antonio e da vigne, dall’altro dalle mura del vecchio quartiere della Kalsa, ancora esistenti sebbene qua e là rotte da strade appena tracciate. La scala ascendeva da un ampio vestibolo, che metteva nella corte, per un’ampia arcata. La corte era a doppio ordine di portici, che durano ancora, ma non tutte le ali erano terminate; nè era ancora decorato di dipinti il soffitto del grande salone del piano superiore.
La comitiva, scavalcata e date le redini ai valletti accorsi, entrò in una vasta sala a pianterreno, le cui finestre davano nel portico. Aveva le pareti coperte di armature e di armi, disposte in bell’ordine; di bandiere, di arazzi che portavano in mezzo lo scudo del Chiaramonte, rosso con tre monti d’argento. Una grande tavola coperta d’una candida tovaglia era nel mezzo della sala: e sopra vi luccicavano vasi, boccali, coppe, piatti, tutto d’argento: e su grandi piatti montagne di paste e confetture e uccellame odoroso di spezierie. Quando tutti furono entrati, i valletti portarono i bacili d’argento e diedero l’acqua alle mani, poi servirono in tavola. Il sommesso bisbiglio delle prime portate si tramutò a poco a poco in un chiacchierio sonoro e confuso, sul quale però sebbene la voce non fosse più alta, dominava quella del personaggio.
E ben si conveniva a Matteo Palizzi, che dopo otto anni d’esilio e una condanna di fuor bando, ritornava in Sicilia, a malgrado della condanna; gesto che agli amici, ai vecchi partigiani, ai Chiaramonte suoi parenti pareva audace. Messer Matteo però non aveva giocato d’audacia; né senza la protezione della regina Elisabetta si sarebbe mosso da Pisa.
Tornava solo: Damiano o per travagli o per malattie che segretamente lo logoravano, e gli accrescevano i dolori e la collera dell’esilio, era morto in Pisa. Quella morte privava Matteo di un consigliere esperto e astuto, di una guida sicura e prudente, e accresceva il suo odio contro il baronaggio catalano, e segnatamente Blasco Alagona; al quale attribuiva la sua disgrazia, e addebitava la morte del fratello.
Le accoglienze e le testimonianze di affetto e di devozione lo rinfrancavano, e accendevano nei suoi occhi lampi di soddisfazione.
Ora lo investivano di domande. In Palermo erano giunte scarse e scarne notizie del suo arrivo a Messina: quale era la verità? Gli si era impedito veramente lo sbarco? Sì, era vero. La regina Elisabetta col piccolo re Ludovico e con Orlando d’Aragona, un bastardo del re Federico, era a Messina, e sapeva del suo arrivo. Segretamente però: perché il bastardo del re non era del partito della regina.


Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Copertine di Niccolò Pizzorno
Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Il Tesoro dei Ventimiglia – Pagine 525 – Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
A Palermo in libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour) Libreria La Vardera s.a.s. (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Sciuti (Via Sciuti), Libreria Sellerio (Viale regina Elena, Mondello)

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