Da quando si istituì la Compagnia dei Bianchi nel 1541, il condannato a morte era affidato a essa che lo prendeva, come si è detto, in consegna. La cappella, dove si chiudeva il reo, durava tre giorni, ma i Vicerè servendosi dell’arbitrio, assai spesso mandavano alla forca anche dopo un’ora del commesso delitto, non curando di seguire le norme prescritte dai capitoli e dalle prammatiche. Con la formula “de mandato principis” si accomodava ogni cosa e la giustizia procedeva allegramente.
Il giorno del supplizio, che di solito aveva luogo un’ora prima dell’Ave, i Bianchi accompagnavano il reo, a piedi, fino al patibolo, e se era uno stradario, in un carro tirato da buoi, e non lo lasciavano se non quando avesse compiuto il triste destino.
I supplizi erano spesso feroci, non si ispiravano a un alto concetto di giustizia, sia pure sbagliato; ma parevano dettati dalla paura e dalla vendetta. Il menomo fallo era punito colla morte; ma questa era circondata di efferatezze, quanto più il delitto pareva grave.
Nel 1517 il Vicerè Monteleone fece buttare dall’alto dello Steri, dopo essere stati pugnalati, gli autori dello scempio dei giudici. Dal Capitano di città, don Orazio Brancaccio furono condannati a morte sei becchini perché, rivendendo la roba degli appestati, ne propagavano il contagio (1575). Dei sei, due furono attanagliati, e quattro trascinati a coda di cavallo e in piazza Marina ebbero tagliate le mani; poi tre furono strangolati a tre pali, il quarto appeso a un palo con una mezza strangolatura, un colpo di pugnale alla mammella sinistra, uno alla spalla e uno al petto, e lasciato morire e il domani fu squartato; gli altri due furono buttati dalle finestre dallo Steri e poi vennero bruciati. Il diarista che racconta questo orrendo fatto, incomincia così: “Un giorno bellissimo!” I commenti guasterebbero la incosciente coscienza di chi scriveva.
Tenagliato, impiccato e squartato fu il medico greco Demetrio Sebastiano, che nel 1624 propagava la peste, e che scampato una prima volta, pagò il delitto due anni appresso. I ladri che avevano tenuto per quattro giorni sequestrato nel giardino della Gancia il signor Angelo Maja, furono attanagliati e squartati. La serie continua. Nel 1568 furono impiccati un Paolo Aiello e un Gaspare Lo Coco, per avere ammazzato Laura la catalana che, a quanto pare, era una meretrice. Nel 1607 furono orrendamente suppliziati cinque ladri, che avevano ucciso un dottor Sbernia; e un Sicco fu non meno orrendamente messo a morte per avere ucciso il parroco di S. Margherita.
Spesso la condanna colpiva il boia, come per esempio avvenne nel 1608, avendo “nefandato” un giovanetto. L’eccellente boia moriva per quello stesso peccato per cui egli aveva fatto morire.
Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli – Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto
dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di
storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una
visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari,
anche i più frivoli.
Argomenti
trattati:
La
città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero
e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte
– Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi
delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I
divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e
duelli.
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