Dorotea si passò le mani sugli occhi, e sulla
fronte, si guardò intorno, poi disse sottovoce a Corrado:
- Fate uscire tutti…
Quando rimasero soli, da un sacchetto di
reliquie benedetto che portava al collo, cavò una piccola chiave, mentre
diceva:
- Apri il… cassettone; c’è un cofanetto…
prendilo… portalo qui.
Corrado le portò un piccolo cofano di legno
rozzamente intagliato, e ornato di piccole borchie di bronzo.
- Ascoltatemi… - cominciò Dorotea; ma non
continuò, fu presa da una nuova convulsione, e ricadde sul letto, stirò le
braccia, rovesciò il capo con un lieve contorcimento della bocca. Il suo volto
divenne livido.
- Mamma! Mamma! – gridò disperatamente Corrado,
abbracciandola.
Ella tentò di parlare, accennando il cofano con
la mano che teneva la chiavetta…
- Volete che apra? – domandò Corrado.
Accennò di sì. Egli aperse con mano tremante;
v’era una borsetta di seta con uno stemma ricamato a colori, e delle carte.
Prese la borsa, la sollevò e disse:
- Questa?
Un sibilo uscì di fra’ denti serrati di Dorotea,
che Corrado interpretò per un sì.
- Ebbene? – domandò con ansia, non sapendo
spiegarsi quel mistero.
Parve che Dorotea raccogliesse tutte le sue
forze, in un atto supremo di volontà; i muscoli del suo volto si contrassero, i
suoi occhi si spalancarono, disse con uno sforzo:
- Tuo padre! – e ricadde indietro, senza vita,
con gli occhi chiusi, la bocca serrata.
Corrado sentì un fremito per tutto il sangue e i
capelli drizzarglisi sul capo. Suo padre? Chi? E quella borsa stemmata? Era la
prima volta che sua madre pronunciava quel nome: aveva sempre detto “mio
marito” parlando dello scrivano: ora, in quel momento supremo, accennando a
quel cimelio, ella evocava il “padre”.
- Mamma! Mamma!... spiegatevi, una parola… – urlò.
Invano. Sentì che quelle mani diventavan di
ghiaccio, che il respiro si faceva più lento; vide il volto farsi ancora più
livido, umido di sudore, e le labbra violacee. Lo spavento gli corse nel
sangue; si levò, guardò Dorotea, gridò ancora:
- Mamma!... una parola!... Mamma… Essa muore!...
Agata!... Agata!...
Accorse la fanciulla e la zia Orsola; la quale,
non sì tosto guardò in volto Dorotea, comprese, mormorò:
- Requiem
Aeternam! Gesù, Giuseppe e Maria vi raccomando l’anima mia!...
- Morta! Morta!... – gridò Corrado, cadendo in
ginocchio e coprendosi il volto con le mani.
Agata ai piedi del letto singhiozzava. Poco dopo
venne il frate-medico, mandato dall’aromatario. Prese la lampada e la sollevò
illuminando il volto di Dorotea sul quale la rigidità cadaverica aveva composto
la sua maschera immobile e raccapricciante. Il frate esaminò attentamente,
corrugando le sopraciglia:
- Strano! – disse fra sé.
Corrado si era levato in piedi e spiava con
ansia il volto del frate. Il quale… visto che come medico non aveva nulla a
fare, si limitò all’ufficio di frate, e levata la mano in alto, pronunciò
solennemente la formola dell’assoluzione in
articulo mortis.
- O madre mia! Madre mia! – gemeva Corrado.
Il frate gli pose una mano su la spalla:
- Coraggio! – gli disse – Dio ha voluto così…
Però… Ditemi un po’, aveva delle inimicizie vostra madre?...
- Inimicizie? Perché?...
- Perché… potrei ingannarmi, ma al vederla in
volto, si direbbe che è morta avvelenata...
La sventura era piombata improvvisa, terribile,
misteriosa.
Di là la sua mamma morta, di qua quel cofano e
quella borsa dei quali non osava indagare il segreto.
Aperse il cofano, per deporvi la
borsetta stemmata; ma le sue mani toccarono un piccolo piego. Tremando, lo
trasse, e lo spiegò: erano due foglioline di carta ingiallita dal tempo.
Qualcosa, come il fremito di un sospetto, gli passò per la mente.
Lesse. Il primo diceva: “1766 addì 4 di questo mese di giugno, è morta e fue sepelita in questa
madre eclesia Marina figlia picciola di m. sei, di Leonardo Sunzeri e di
Dorotea Maravigna jugales”.
Una bambina! Aveva dunque avuta una sorella? Uno
stupore profondo si dipinse sul suo volto. Una sorella? E quel Leonardo
Sunzeri, appariva il marito di sua madre; invece dello scrivano Maurici? Svolse
la seconda carta e lesse: “1766 addì di
questo marzo fu baptizzato in questa madre chiesa thermitana un figliolu, cui
nomen Corradus, ignorontum parentium, e il compare fu d. Leonardo Sunzeri e la
domare d. Dorotea sua leggittima mogle”.
Il foglio gli cadde dalle
mani! Ignoti? Egli era figlio di ignoti? E colei che egli aveva adorato come
una madre, non era dunque la mamma sua? E l’aveva amato così? Egli era stato un
estraneo in quella casa, della quale pur era il vero e unico signore,
circondato di cure, di affetti, di tutte le finezze, di cui quella povera donna
era stata capace! E mai, mai il mistero della sua nascita oscura era trapelato;
mai una parola, un’allusione, avevano tradito quella donna. E chi era dunque
quello scrivano passato come un’ombra attraverso la sua prima infanzia se il
marito di colei che aveva amato e piangeva come una madre si chiamava Sunzeri?
Stupefatto, stretto da un’ambascia ansiosa, col cervello sconvolto da
quell’inattesa rivelazione si sentì come perduto in un mare tenebroso. Cominciò
a interrogare i suoi più lontani ricordi tormentando la sua memoria per trovare
un qualche lampo, torturandosi per trovare un legame in tutte quelle scoperte,
che gli tumultuavano nel cervello. Gli pareva di impazzire. Si alzò, aprì
l’uscio, guardò la morta, seduta sul seggiolone, immobile, impenetrabile, fra
le torce accese. Ah la buona e santa donna, che lo aveva sottratto
all’abbandono! Ella era discesa nella tomba col suo segreto, quando appunto
stava per rivelarglielo. Sentì gli occhi empirsi di lagrime. Poi a un tratto
rabbrividì. Gli tornarono alla mente le parole del frate: “avvelenata” e poi le
altre “tuo padre” e quella borsa, unico raggio di luce in tanta oscurità; ma
qual luce!... E se quella morte fosse stata una vendetta?... o una
soppressione? E la morta gli apparve improvvisamente come una martire...
Scudo d'argento, con sbarra traversata
all'angolo e squadra nera col vertice sopra... È 1'arme dei Calvello....
- Dei
Calvello?
- Nobiltà
di prim'ordine. Andrea Calvello coronò re Ruggero II, da allora in poi i
Calvello acquistarono il diritto di portar sul cuscino la corona regale nelle
solennità delle coronazioni. Non lo sapete?
- Calvello
!... – ripetè Corrado sbalordito.
- Sono
duchi di Melia e baroni dell'Arenella. Oggi rappresenta la casa don Goffredo
Calvello e Eschero, che ha per moglie donna Laura Castello e Giglio. Il loro
palazzo è alla Gancia... Un gran signore. Don Antonio, suo primogenito e futuro
erede, sposò donna Rosa Caracciolo di Napoli...
Ma Corrado non udiva; dentro di sè ripeteva quel
nome con uno sgomento del quale non sapeva darsi ragione.
Luigi Natoli: Calvello il bastardo.
Nell'unica versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913
Pagine 851 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online
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