venerdì 18 maggio 2018

Luigi Natoli: Il giudizio di Dio. Tratto da: Gli ultimi saraceni.


Attraverso i capitoli e le consuetudini delle città, i capitoli o le Assise dei re di Sicilia, si può indagare in quali circostan­ze e in quali forme si consentisse di ricor­rere al giudizio di Dio; nè dispiacerà al lettore di farvi una scorsa rapidissima, per avere un criterio di ciò che si sarebbe svolto al cospetto della folla e del re. 
Quando, come si è detto, non v’eran altre prove per accertare la colpa di cui qualcuno era accusato, si ricorse dapprima al giuramento, dato in forma solenne dal presunto reo, e, in tempi forse in cui il giuramento era tenuto veramente sacro, bastava esso a purgare – come si diceva – il reo. Ma col tempo i giudici divennero un po' increduli, e pretesero che testimoni ossia compurgatori, condividessero col reo la responsabilità del giuramento; la qual cosa non fece che aumentare il numero degli spergiuri, senza far fare un passo in là alla giustizia... tal quale come avviene oggi nei processi criminali.
Allora si ricorse all'intervento soprannaturale. Dio non può permettere che chi è innocente soccomba. Egli dunque manifesterà il vero; sottoporre un presunto reo a una prova straordinaria, e dall'effetto, dal modo come è sostenuta, dedurne la manifestazione del giudizio di Dio, parve metodo sicuro e infallibile.
I giudizi di Dio furono di due specie: purgazioni e duelli. Le purgazioni consistevano nel subire una prova insensata e atroce, come quella dell'acqua bollente, quelle del ferro arroventato o dell’acqua ghiaccia, o del pane e cacio. Un documento curioso, riprodotto da monsignor Di Giovanni in un'opera De divinis siculorum offici e poi dal Gregorio, contiene il rito da seguire in queste prove di purgazione; alle quali non soltanto era sottoposto l’imputato, ma, potevan anche essere obbligati i testimoni. Il duello invece, era più adoperato fra' nobili, ma meno anche da borghesi; sia fra le due parti in causa, accusatore e accusato, sia fra l'uno dei due e un testimonio. La legge consentiva che uno o tutti e due i contendenti si facessero rappresentare da un campione. L’età dei combattenti o dei campioni, il giorno, il luogo, le armi, le forme, il rito del duello erano minutamente prescritti.
Le leggi nostre prescrivevano anche i casi in cui era ammesso il giudizio di Dio per duello; si possono desumere dalle consuetudini della città di Trapani. Erano i delitti di lesa maestà, gli attentati alla vita del re, la falsificazione della moneta, l’omicidio, il furto, la rapina, e in generale qualunque altro delitto che, secondo i riti ordinari della giustizia, avrebbe comportato la pena di morte o l’amputazione di qualche membro. 
Questa volta la curiosità e l’aspettazione dei cittadini di Palermo erano eccitate e legittimate dal fatto che accusatore era il Gaito Pietro, eunuco, camerario del re Guglielmo, e già Almirante della flotta siciliana all’impresa di Al Madhiah, malamente condotta tra il luglio e il settembre di quell’anno; l’accusato era un giovane cavaliere Orsello di Godrano, uno dei militi che avevan preso parte a quella campagna.


Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. 

Pubblicato unicamente dal Giornale di Sicilia a puntate nel 1911, è oggi in unico volume edito I Buoni Cugini editori. 

Pagine 719 - Prezzo di copertina € 25,00
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