venerdì 25 maggio 2018

Luigi Natoli: La torre dei diavoli. Tratto da: Calvello il bastardo.

Corrado spedì Pietro a Palermo, perchè si mettesse a disposizione del Di Blasi. Travestito da frate, in maniera irriconoscibile, precedendo la banda, il fedel servo entrò in Palermo all’Avemaria, come un fraticello che torni dalla sua passeggiata. Poichè ora non era più un mistero il disegno del duca, aveva con entusiasmo assunto la sua parte, sicuro di poter, con le relazioni contratte nel quartiere dell’Albergaria per mezzo di zi’ Francesco, sollevare quella popolazione manesca e pronta ad ogni impresa.
Quanto il Teriaca, preso da paura, aveva denunziato, era vero. Sicuro del soccorso delle bande, e specialmente di quella del duca di Falconara, don Francesco Paolo Di Blasi aveva fissato di insorgere il venerdì santo, 3 aprile, nell’ora della processione della Compagnia della Soledad, la più famosa di quelle che avevan luogo a Palermo durante la settimana santa. La processione usciva dalla chiesa dei padri Trinitari, recando l’urna a vetri col Cristo deposto, e la “bara” con l’Addolorata ammantata di nero. Vi prendevan parte tutti i conventi e le confraternite, e gruppi di fanciulli, vestiti da apostoli, da angeli e da Maddalene, rappresentanti i misteri della passione. L’Urna era attorniata da uomini chiusi in pesanti armature medioevali, con la celata in testa, l’alabarda in pugno, terribili: questo spettacolo, l’intervento della truppa, in uniforme di gala, il concorso della nobiltà, l’intervento ufficiale del Vicerè e del luogotenente, con la deputazione del Regno, coi tribunali, e con tutte le magistrature, del senato con tutti gli ufficiali della città, rendeva questa processione la più spettacolosa e la più magnifica.
Approfittar dell’assenza della truppa dalle caserme e della loro dispersione lungo la strada; piombar sul luogotenente generale e impadronirsene con l’aiuto dei soldati ribelli; impadronirsi delle caserme, dell’armeria, delle carceri, del banco pubblico; sollevare il popolo, e gridar la repubblica, intanto che la flotta francese, raccolta allora nelle acque della Sardegna, accorresse a dar mano forte, era un disegno audace, che se fosse riuscito, avrebbe avuto conseguenze assai gravi per la dinastia borbonica.
Si era convenuto che appena iniziata la sommossa, avrebbero suonato a stormo le campane del Duomo, e sul cuspide della torre avrebbero issato lo stendardo di Sicilia bianco con l’aquila nera nel mezzo, ma attraversato da una larga fascia rossa e turchina, i colori della repubblica francese. Dall’alto della torre dei Diavoli si vedevano bene le quattro torri della cattedrale e il grande campanile costruito di recente; e poichè la distanza era di un mezzo miglio, lo stendardo si sarebbe veduto chiaramente.
La notte passò tranquilla. Corrado ricordava che due anni innanzi, proscritto, ricercato, aveva chiesto l’ospitalità a quella vecchia torre abbandonata. Ora, alla viva fiamma che ardeva in mezzo alla vasta sala scoperchiata, vedeva quegli uomini addormentati, col capo appoggiato alle selle, le armi fra le gambe; sui quali il riverbero delle fiamme disegnava luci strane e fantastiche, e pensava a quanta gloria erano serbati. Non tutti avrebbero goduto la gloria del trionfo; ma a tutti la patria risorta avrebbe decretato l’alloro. Fra due giorni essi non sarebbero stati più oscuri.
Immaginava il loro ingresso in Palermo: qualcosa di magnifico e di terribile! Quei quaranta centauri, appena veduto lo stendardo bianco e udito il rombo lontano delle campane, si sarebbero lanciati giù pel piccolo ponte della Guadagna sullo stradale; stretti, compatti, formidabili, come gli antichi catafratti; di galoppo, per la porta Montalto fino al piano del palazzo reale, per impadronirsi dei baluardi, occupar la sede del governo, tagliar la strada alla cavalleria dei Borgognoni.
Pensava e sognava. E guardando i muri screpolati e derelitti dell’antica dimora di una delle più illustri famiglie della Sicilia, estintasi combattendo per l’indipendenza della patria, diceva fra sé:
- Quali destini si covano questa notte dentro queste rovine del passato!

Nella foto: la torre dei diavoli (oggi non più esistente) dell'antica famiglia dei Chiaramonte. 


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. 
Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1908. 
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