Tristano ritornava a casa,
quando dall'alto della piazza di Ballarò veniva una fiumana di gente armata, in
mezzo alla quale, un cavaliere a cavallo, agitava la spada sguainata. La folla
urlava grida di morte:
- Ammazza gli spagnuoli!
Ammazzali!
Il balenìo delle armi
accompagnava ferocemente le parole; e tutto intorno pareva scosso e sollevato
dall'odio, come i marosi dal vento.
Tristano si fermò,
guardando con stupore e non senza pena. Per quanto gli spagnuoli fossero
stranieri, e non si fossero mai cattivato l'amore dei siciliani, per la loro
albagia, e i loro arbitrii, e per quanto i soldati, spinti dalla fame, avessero
commesso violenze, egli ricordava di aver militato con loro e di aver fra essi
buoni compagni. E prevedeva che quel furore popolare avrebbe immerso la città
in un lavacro di sangue, tra scene spaventevoli di orrore. Quando la folla fu
più vicina riconobbe il gentiluomo che pareva se ne fosse fatto capo.
Era il magnifico Paolo
Pollastra, un cavaliere, che nel quartiere dell'Albergheria godeva di grande
reputazione di bravura, e fra quella gente rissosa faceva spesso da arbitro,
ubbidito e seguito.
La notizia delle prime
uccisioni, era giunta subito a lui; che sceso di casa armato, salito a cavallo,
a grande voce aveva raccolto a sè i popolani più maneschi: ai quali via via si
erano uniti gli altri, e la fiumana ingrossata, scendeva minacciosa.
- È tempo di finirla! – gridava
il signor Paolo: – fuori questi barbari! Vogliamo esser padroni in casa nostra!...
Fuori gli spagnoli!
E la folla acclamava; ma
oltrepassando il pensiero di messer Paolo, invece di limitarsi alla espulsione
gridava che bisognava uccidere, bisognava scannarli quegli stranieri odiati. Un
nuovo Vespro. A Tristano parve una esagerazione inumana. Facendosi largo si
avvicinò a messer Paolo, e fermandogli il cavallo, gli disse:
- Che cosa fate,
magnifico? Volete spingere la città alla rivolta?
- È tempo! – rispose il
cavaliere – abbiamo tollerato troppo questi stranieri.
La folla scese nel cuore
della città, invase la piazza del palazzo pretorio, gridando contro il pretore
e i giurati; quand'ecco dall'altro lato, si sentì un mugghio di tempesta: e dai
vicoli si vide venire degli spagnoli atterriti, qualcuno con volto
insanguinato, che cercavano uno scampo, e dietro a loro torme di plebei
furibondi, che li incalzavano urlando:
- Ammazzali! Ammazzali!
Allora quelli che
seguivano Paolo Pollastra, eccitati dalla caccia e dal sangue, diedero addosso
a quei miseri; l'improvviso scomporsi, sprigionò Tristano, che non potendo,
solo com'era, opporsi a quella moltitudine insensata e feroce, si ritrasse
nella vicina chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, detta della Martorana. E
giunse appena in tempo; perché il sagrestano, temendo che in quel tumulto
potessero invadere la chiesa e saccheggiarla, ne chiudeva le porte.
Ma poco dopo ebbe
vergogna, lui soldato, d'aver ceduto all'istinto della salvezza, e poiché il
tumulto si era allontanato, non trova alcuna difficoltà a farsi aprire. Uscì
col proposito di cercare persone più autorevoli che non lui, giovanissimo, per
far cessare la inutile strage. Andando verso la Loggia, si imbattè in un
giovane cavaliere che godeva buona reputazione, il signor Giovan Luca
Squarcialupo.
Verso sera, Don Pietro
Cadorna conte di Golisano, don Federico Patella (veramente si chiamava Abatelli)
conte di Cammarata, ai quali si erano uniti il marchese di Licodia, Matteo
Santapau, il conte di Geraci Simon Ventimiglia, il signor di Militello, Giovan
Luca Squarcialupo, Tristano ed altri signori, a cavallo, andarono per le strade
ove maggiore era il tumulto, e con le esortazioni, le minacce, le promesse: con
l'autorità del nome e il prestigio di valore e di generosità che specialmente
rendeva ben accetto il conte di Golisano, disarmavano gli animi. Ma vi
concorrevano anche alcuni religiosi e qualche popolano; quelli con la minaccia
di scomuniche, questo con le arguzie.
Niente disarma più è meglio
della risata; e mastro Jacopo Piededipapera lo sapeva...
Luigi Natoli: Squarcialupo. Nella edizione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1924 e per la prima volta edita in unico volume a cura di: I Buoni Cugini editori.
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