Mi legò una benda sugli
occhi, così fortemente, che non era possibile veder nulla; e presomi per mano,
mi tirò dietro di sé.
Udii tre colpi picchiati a una porta, e alla diversa temperatura capii che entravamo in un’altra sala.
Udii tre colpi picchiati a una porta, e alla diversa temperatura capii che entravamo in un’altra sala.
- Fermatevi qui.
Passò un istante di
silenzio. Una voce diversa, che veniva dal fondo, mi rivolse le domande di
rito:
- Profano, voi avete osato
penetrare nel nostro tempio. Chi siete?
Ripetei per la terza volta
il mio nome.
- Che cosa cercate?
- La luce.
Non vi ripeterò il dialogo
che ne seguì, perché sarebbe ozioso: mi si domandò se credevo in Dio,
nell’immortalità dell’anima e via via dicendo; e in seguito mi si fecero
compiere i viaggi attraverso l’aria e il fuoco. Io sapevo già che questi viaggi
erano simbolici; non provai dunque, nel sentirmi lanciare nello spazio, e
accaldare il viso, alcuna commozione di spavento: ma alla terza prova, alla
quale fui sottoposto, non potei padroneggiare un gesto di ripugnanza.
Colui che mi accompagnava,
mi pose nelle mani una pistola:
- Quest’arme, – disse, – è
carica. Appoggiatela al vostro capo e sparate.
Come vi ho detto provai un
istante di ripugnanza: ma subito pensai giustamente che se la pistola si
caricasse veramente, a palla, le logge si potrebbero chiudere per mancanza di
socii. Così non esitai a tirare il grilletto. Sentii lo scoppio, e un colpo alla
testa, ma naturalmente non morii, né riportai alcuna ferita. Era evidente che
il colpo era sparato da altri, e che la percossa era simulata.
Allora fui fatto
inginocchiare, e pronunciai il seguente giuramento:
“Io Giuseppe Cagliostro alla presenza del grande Architetto
dell’Universo e a quella dei miei superiori come pure della rispettabile
società in cui mi trovo, mi obbligo di fare tutto quello che mi verrà ordinato
dai miei superiori; e perciò mi obbligo sotto le pene stabilite da loro di
obbedirli ciecamente, senza ricercarne il perché, e di non rivelare né in voce,
né in iscritto, né con gesti il segreto di tutti gli arcani che mi saranno
comunicati”.
Sbendato, mi trovai in una
grande sala così sfarzosamente illuminata, che per poco non ne fui accecato; e
non fui poco stupito dal vedere che tra i liberi Muratori vi era anche l’amico
O’Reilly e v’era Ricciarelli, che era stato ricevuto qualche ora prima di me.
La cerimonia non terminò
col giuramento. Condotto dinanzi al trono del Venerabile, egli, ponendomi la
spada sul capo mi diede il battesimo massonico, mi abbracciò e mi baciò, e
presentatomi come un fratello, mi fece condurre in giro perché avessi il bacio
fraterno.
Ebbi anche due paia di
guanti, uno da uomo, come simbolo che dovessi serbare la purità delle mani, e
non macchiarle mai del sangue dei miei fratelli liberi muratori, e uno da
donna, da regalare alla donna amata.
Io li portai a Lorenza.
Il primo grado massonico è
di apprendista; vengono poi quelli di compagno e di maestro. Questo grado è
quello del perfetto massone; e non vi si arriva, se non dopo un tirocinio più o
meno lungo, e dopo aver dato prova di rettitudine e di segretezza.
Ma questo tirocinio per me
si ridusse a una settimana; alla nuova riunione, io passai a compagno e a maestro,
e n’ebbi la patente, il 2 giugno del 1777, firmata dal segretario della loggia
Giacomo Helsteim.
Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
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