giovedì 28 dicembre 2017

Luigi Natoli: I "malvizzi". Tratto da: I cavalieri della Stella o La caduta di Messina.


- Ah! sono merli? disse qual­cuno del partito cittadino tradizionale. e noi siamo “malvizzi”(tordi).
E anche questo nome diventò un sim­bolo, un segno, una bandiera; e malvizzi furono i cittadini dell'ordine senatorio, i nobili, i mercanti, il clero, i frati, parte delle maestranze. La divisione ebbe così i suoi nomi: la città si spartì tra Merli e Malvizzi, gli uni considerando gli altri come traditori; le piazze, le strade, le case, i conventi me­desimi e le chiese, si tramutarono in un campo sul quale le due fazioni scendeva­no coi rimproveri, le ingiurie, le minacce, le persecuzioni. Il Senato imprigionava i Merli; lo stratigò perseguitava i Malvizzi: don Luigi de l'Hoyo, sicuro oramai di avere oltre al presidio dei castelli la parte più manesca della cittadinanza, gittava la maschera. 
L'ultimo di quei segreti convegni av­venne la notte del 29 marzo. Che cosa disse lo stratigò? Che cosa promise? Pri­ma di ritirarsi nella reggia egli diede un labaro nero, da una parte del quale era un Cristo crocifisso, dall'altra la Vergine: quelle due immagini, significazione di pace, di concordia, di carità eran segno di guerra, d'odio, di distruzione.
La mattina del 30, sul far del sole, una gran folla, con quella bandiera alla testa, invase le vie principali, gridando: “Viva Maria, viva il re di Spagna, morte ai traditori!”. Un nuovo esercito veniva ad aggiun­gersi alla folla dei “Merli”; erano i pezzen­ti, che lo stratigò malignamente aveva fatto uscire dal Ser­raglio, specie di ospizio di mendicità, dove stavan rinchiusi non certo volenterosa­mente: erano un migliaio di miserabili, quali storpiati dalla natura, quali defor­mati da malattie; molti serrativi per vaga­bondaggio: una vera corte di miracoli, luri­da, avida, feroce, piena di tutti i rancori, di tutte le brame, di tutte le ferocie annidantesi nel fondo oscuro della bestia umana. Uscivano tumultuando, urlando in una ebbrezza di luce e di aria che molti­plicava le loro torbide passioni. Il rumo­re delle grucce e dei bastoni, l'agitar dei moncherini aumentava l'orrore e il ri­brezzo che destava quell'esercito di re­spinti dalla natura.
- Viva il re di Spagna! morte ai tra­ditori!... – urlavano raucamente con bocche contraffatte e con volti segnati da mali orribili, annusando nell'aria l'odore delle rapine e delle violenze.
- Viva il re di Spagna! viva Maria!...
- Alla casa di Silvestro Fenga! alla casa di Silvestro Fenga!...
Silvestro Fenga era uno dei senatori, che godeva fama di grande ricchezza: poté salvar sé da quella furia del popolo, non la casa. Fu la prima a essere sac­cheggiata e data alle fiamme, e di essa non rimasero, scrisse un testimonio “né meno li vestigi ov’erano li solai, e s'udiva una gran puzzura di zolfo e pareva abissasse l'aria”. Nell'orgia del saccheggio e mentre le fiamme crepitavano un'altra voce gridò: 
-  All'Albergaria!...
Chi l'aveva detto? Queste voci parto­no da una folla, come dal fondo perduto di una voragine. Nessuno vede la bocca che la pronuncia; ma tutti l'odono e la sentono rifluire nelle loro bocche; e il pensie­ro di uno si tramuta a un tratto in pensie­ro di tutti, tutte le volontà diventano una volontà sola, formidabile, terribile, gigantesca!...
L'Albergaria era una prigione che sorgeva nel quartiere dello stesso nome; e racchiudeva i delinquenti popolari, gen­te avvezza al delitto. Quale contributo di forze non avreb­be portato all'opera di devastazione? In breve i cancelli di legno furono spezzati, bruciati, i registri arsi, i carcerati liberi. Lì presso era la casa di Antonio Bottone, altro senatore; fu assalita, deva­stata, saccheggiata; non vi rimase un chiodo. Il furore pazzo e incendiario aveva invaso la folla; una dopo l'altra le ca­se dei senatori cadevano sotto l'impeto di quell'esercito scarmigliato, simile a un torrente contenuto, al quale improvvisa­mente tolgono le cateratte, e rovina con fracasso, e nella sua rovina trascinando ogni cosa...

Luigi Natoli: I cavalieri della Stella o La caduta di Messina. 
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