- Ah! sono merli? –
disse qualcuno del partito cittadino tradizionale. – e noi siamo “malvizzi”(tordi).
E anche questo nome diventò un simbolo, un segno, una
bandiera; e malvizzi furono i cittadini dell'ordine senatorio, i nobili, i
mercanti, il clero, i frati, parte delle maestranze. La divisione ebbe così i suoi nomi: la città
si spartì tra Merli e Malvizzi, gli uni
considerando gli altri come traditori; le piazze, le strade, le case, i
conventi medesimi e le chiese, si tramutarono in un campo sul quale le due
fazioni scendevano coi rimproveri, le ingiurie, le minacce, le persecuzioni. Il
Senato imprigionava i Merli; lo stratigò perseguitava i Malvizzi: don Luigi de
l'Hoyo, sicuro oramai di avere oltre al presidio dei castelli la parte più
manesca della cittadinanza, gittava la maschera.
L'ultimo di quei segreti convegni avvenne la notte del 29
marzo. Che cosa disse lo stratigò? Che cosa promise? Prima di ritirarsi nella
reggia egli diede un labaro nero, da una parte del quale era un Cristo crocifisso,
dall'altra la Vergine: quelle due immagini, significazione di pace, di
concordia, di carità eran segno di guerra, d'odio, di distruzione.
La
mattina del 30, sul far del sole, una gran folla, con quella bandiera alla
testa, invase le vie principali, gridando: “Viva Maria, viva il re di
Spagna, morte ai traditori!”. Un nuovo
esercito veniva ad aggiungersi alla folla
dei “Merli”; erano i pezzenti, che lo stratigò malignamente aveva fatto uscire dal Serraglio, specie di ospizio di mendicità, dove stavan rinchiusi
non certo volenterosamente: erano un migliaio di miserabili, quali storpiati
dalla natura, quali deformati da malattie; molti serrativi per vagabondaggio:
una vera corte di miracoli, lurida, avida, feroce, piena di tutti i rancori,
di tutte le brame, di tutte le ferocie annidantesi nel fondo oscuro della
bestia umana. Uscivano tumultuando, urlando in una ebbrezza di luce e di
aria che moltiplicava le loro torbide passioni. Il rumore delle grucce e dei
bastoni, l'agitar dei moncherini aumentava l'orrore e il ribrezzo che destava
quell'esercito di respinti dalla natura.
-
Viva il re di Spagna! morte ai traditori!... – urlavano raucamente con bocche
contraffatte e con volti segnati da mali orribili, annusando nell'aria l'odore
delle rapine e delle violenze.
- Viva il re di Spagna! viva Maria!...
-
Alla casa di Silvestro Fenga! alla casa di Silvestro Fenga!...
Silvestro Fenga era uno dei senatori, che godeva fama di
grande ricchezza: poté salvar sé da quella furia del popolo, non la casa. Fu la
prima a essere saccheggiata e data alle fiamme, e di essa non rimasero,
scrisse un testimonio “né meno li vestigi ov’erano li solai, e s'udiva una gran
puzzura di zolfo e pareva abissasse l'aria”. Nell'orgia del saccheggio e mentre le
fiamme crepitavano un'altra voce gridò:
-
All'Albergaria!...
Chi
l'aveva detto? Queste voci partono da una folla, come dal fondo perduto di una
voragine. Nessuno vede la bocca che la pronuncia; ma tutti l'odono e la sentono
rifluire nelle loro bocche; e il pensiero di uno si tramuta a un tratto in
pensiero di tutti, tutte le volontà diventano una volontà sola, formidabile, terribile,
gigantesca!...
L'Albergaria
era una prigione che sorgeva nel quartiere dello stesso nome; e racchiudeva i
delinquenti popolari, gente avvezza al delitto. Quale contributo di forze non
avrebbe portato all'opera di devastazione? In breve i cancelli di legno furono
spezzati, bruciati, i registri arsi, i carcerati
liberi. Lì presso era la casa di Antonio Bottone, altro senatore; fu
assalita, devastata, saccheggiata; non vi rimase un chiodo. Il furore pazzo e
incendiario aveva invaso la folla; una dopo l'altra le case dei senatori
cadevano sotto l'impeto di quell'esercito scarmigliato, simile a un torrente
contenuto, al quale improvvisamente tolgono le cateratte, e rovina con
fracasso, e nella sua rovina trascinando ogni cosa...
Luigi Natoli: I cavalieri della Stella o La caduta di Messina.
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