Egli le aveva fatto una
proposta: fuggire, andare a Roma, buttarsi ai piedi del Santo Padre per
ottenere la dispensa della parentela, sollecitare il perdono del barone La
Grua, sposarsi e vivere felici in quel castello dove il loro amore era nato, e
dove essi volevano morire. Ah il sogno di un amore lungo, interminabile, celato
agli occhi curiosi, fra il verde della campagna e l’azzurro del cielo, col mare
lontano! Oh le dolci albe d’aprile, odorate dai peschi in fiore, oh destarsi in
un abbraccio tenero, in un bacio inestinguibile!...
Ella correva dietro al suo
sogno, cercandolo tra le nubi dorate che erravano nel cielo; quando un
frequente scalpitare di cavalli distolse gli occhi suoi.
Guardò giù nel piano; un
gruppo di cavalieri che ella non distingueva ancor bene, saliva già la collina;
uno di essi andava innanzi, incitava il cavallo, come per infondergli lena; il
cavallo incurvava la nobile testa sul petto fumante, ed allungava il passo su
lo scosceso sentiero che serpeggiava fra le rupi.
Donna Caterina guardava
con sospettosa curiosità; chi potevano essere quei cavalieri? E quale urgenza
li pungeva? E che venivano a cercare nel castello? Quando furono più vicini, il
cavaliere che andava innanzi levò la testa in su. Donna Caterina trasalì; un
fremito ghiacciato serpeggiò per le vene; le gambe le tremarono; stette come
inchiodata dal terrore nel balcone.
Aveva riconosciuto suo
padre.
***
Perché ella tremava? Non
lo sapeva, al di sopra della cavalcatura le era sembrato di veder sogghignare
il volto di frate Arcangelo. Era forse la punizione che giungeva?
I cavalli erano arrivati
su la spianata; il signor barone, veduta la figliuola, aveva cacciato gli
sproni nei fianchi del cavallo, levando il pugno minaccioso verso di lei. ella
vide i cinque cavalieri svoltare l’angolo, e poco dopo sentì risonare i ferri
sul selciato della corte. Allora fece uno sforzo, entrò nella sala, e si
appoggiò alla spalliera di un seggiolone: in quel momento la porta si aprì con
fracasso; il barone don Vincenzo, seguito da un bravaccio, balzò nella sala
come l’avvoltoio su la colomba.
Si fermò innanzi alla
figliuola, incrociando fieramente le braccia sul petto, e guardandola quasi per
scoprire sul suo volto le tracce degli ultimi baci peccaminosi.
Ella tremava, pallida,
atterrita, non osando levare gli occhi su quelli del padre, sul cui aspetto
aveva letto chiaramente la sua condanna.
Stettero un minuto così,
in silenzio, l’uno di faccia all’altra; il bravo, bieco e triste, se ne stava
aspettando, su la soglia dell’uscio. Donna Caterina si sentiva venir meno;
perché la sala non sprofondava, inghiottendola? Perché non moriva ella in quel
punto, per sottrarsi alla vergogna, alla collera, al castigo?
Luigi Natoli: La Baronessa di Carini, leggenda pubblicata nella raccolta "Storie e leggende" nel 1892 con la casa editrice Pedone Lauriel. La stessa raccolta di leggende è oggi riproposta nella sua originalità dalla casa editrice I Buoni Cugini editori in un volume dal titolo "La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue".
Per dare completezza agli studi di Luigi Natoli sul "caso" della Baronessa di Carini, gli editori hanno aggiunto al volume originale la leggenda "La signora di Carini" pubblicata dall'autore nel Giornale di Sicilia del 31 agosto 1910 e lo studio critico "Un poemetto siciliano del secolo XVI" tratto da un "Estratto dagli Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo serie III vol. IX.
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