giovedì 28 dicembre 2017

Luigi Natoli: la rivolta contro il Senato di Messina. Tratto da: I cavalieri della Stella ovvero La caduta di Messina.


Dal 23 di marzo infatti la città di Messina era in preda a fiere convulsioni, che avevano avuto tristi episodi di sangue. La fame da una parte, le istigazioni dello stratigò dall'altra, avevano scatena­to il popolo contro la borghesia e il patri­ziato. Una sommossa era scoppiata, non contro il governo regio, ma caso nuovo, sollecitata e capitanata  dallo stesso rap­presentante del governo contro i rappre­sentanti legittimi della cittadinanza. Era ciò che don Luigi de l'Hoyo aveva da un pezzo tentato, e che final­mente gli riusciva. Ed era appunto ciò di cui egli, a modo suo, andava informando con corrieri speciali l'illustrissimo ed ec­cellentissimo signor don Claudio Lamorald, vi­ceré di Sicilia.
Il raccolto era stato nell'estate prece­dente scarso quanto mai, e la insipienza dei governanti, accresciuta dai pregiudi­zi economici e anche dalla privata ingordigia di qualche ufficiale dello Stato, ave­va gittata l'isola negli orrori della carestia. Se nelle maggiori città, con provve­dimenti rovinosi, i municipi, anche ridu­cendo il peso e la quantità del pane, giun­gevano a non far morire di fame le popo­lazioni; nell'interno dell'isola, nelle terre demaniali e feudali non restava alle po­polazioni esauste che nutrirsi di erbe ra­cimolate per le montagne.
L'inverno coi suoi rigori trovava l'i­sola in tali condizioni: a liberarsi dalle quali gli abitanti delle provincie non tro­vavano altro scampo che di accorrere nella città. Un bando del Viceré, che allontana­va dalla sola città di Palermo ben cin­quantamila provinciali, e li mandava a morir di fame tra’ monti, o a darsi al la­droneccio e all'assassinio, può dare una pallida idea di quel che fosse in quei giorni lo stato dell'isola.
Messina, per quanto ricca di com­merci, non si trovava meglio. Il frumento mancava e mancava il pane. Fin dal settembre il Senato se ne preoccupava, e dava incarichi di provve­dere, e sollecitava aiuti dal Viceré: ma sen­za frutto. Non mancarono coloro che al Vicerè fecero presente i pericoli in cui si incorre­va per la eccitazione del popolo ammise­rito; ora era il castellano del forte Gonza­ga che gli scriveva scarseggiar da otto giorni il pane, e la plebe assalire e depre­dare i forni; ora il castellano del forte del Salentore avvertiva che la rivolta minac­ciava la città.
La città era ridotta al punto da dover forse numerare le anime e dividere il pa­ne a tanto per testa, e con bigliettini, o polizze.
Uno squallore, un'ansia paurosa di mali peggiori, un turbamento profondo degli spiriti, avevano mutato l'aspetto della città. Due che s'incontravano, si fermavano, fermavano altri; si formavano crocchi, si scambiavan querele, si propa­lavano notizie più o meno vere, si formu­lavano accuse più o meno fondate; si pronunciavano bieche parole, si ventila­vano oscure minacce. Ogni giorno che trascorreva, era una nuova voce insidio­sa, un nuovo affaccendarsi di gente; altri propositi, altre minacce: gli animi si eccitavano, si infrangevano i freni della legge; i furti, i ricatti, i ferimenti aumen­tavano; aumentava la rilasciatezza delle autorità, cresceva la insolente baldanza dei pescatori nel torbido.
L'illustrissimo signor don Luigi de l'Hoyo, fingevasi addolorato di questa miseria; ah! come piangeva al racconto dei dolori e dei tormenti della fame!... Aveva aperto il palazzo a quanti ricorre­vano a lui, e a tutti dava buone parole. 
- È una disgrazia figliuoli; ma bi­sogna rassegnarsi e fidare sulla Provvidenza Divina: io farei di tutto per darvi pane... saprei dove trovarlo il frumento... Ma!... Ma posso io usurpare il potere del Senato? Posso in coscienza far qualche cosa contro i privilegi e le prerogative di que­sta città? Ditelo voi!... Si direbbe... Che cosa non si direbbe?... Deve pensarci il Sena­to; io lo aiuterò, non dubitate...
- Eh! – sclamava qualcuno; – i senatori ce l'hanno il pane, in casa; non soffrono la fame loro!... 
- Lo so, lo so; rispondeva don Luigi de l'Hoyo con un sospiro; nei lo­ro magazzini il frumento non manca di certo. Ma è cosa tutta di loro... Possono anche venderlo, mandarlo via... Sono pa­droni di farlo. Chi volete che glielo impedisca?...
- Ladri! ladri! Affamatori!... – urla­vano ferocemente e disperatamente i più miserabili.
- Zitti! zitti! cos'è questo? Non sta bene. Sperate in Dio e nella Santa Vergi­ne della Lettera (e don Luigi si scap­pellava e s'inginocchiava). Sperate che tocchino loro il cuore e li illu­minino...
Da questi discorsi, che si ripetevano con la stessa untuosità, penetrava nell'a­nima della plebe il convincimento che affamatori della città fossero i senatori.
“Pubblici ladroni qualificati” li an­davano chiamando i familiari dello stra­tigò; e l'ingiuria raccolta dallo stesso stratigò veniva comunicata in un lungo memoriale al Viceré, come una verità di fatto. Lo stratigò aveva dopo la sconfitta patita il 25 di luglio del 1671, composta una sua società segreta, una specie di setta da contrapporre alla setta dei patrizi e del­l'alta borghesia; l'aveva composta di po­polani maneschi e capaci di ogni disor­dine; alcuni dei quali, però, dal Senato che aveva sventato la trama, erano stati carcerati e banditi.
Costoro andavan diffondendo le no­tizie più odiose contro il Senato.
Il Senato, impensierito dalla man­canza di frumento aveva sollecitato il vi­ceré di Napoli ad adempiere all'obbligo fattogli dal privilegio di Carlo V; ma lo stratigò aveva scritto segretamente e per­suaso quel viceré a non mandar nulla. La setta lo seppe, e propalò la notizia: ma il popolo non vi prestò fede. Come mai lo stratigò poteva pensare ad affamare Messina, se raccoglieva i poveri nel pa­lazzo reale e li sfamava del suo? Gli affa­matori, i ladri erano i senatori.
- Ne volete una prova? Vedete un po'; hanno posto il pane in deputazione per guadagnarvi sopra! Cani! 
Mettere il pane in deputazione signifi­cava sottrarlo alla vendita privata, muni­cipalizzarlo, come si direbbe ora: ma allo scopo di dividerlo a tanto a testa, in razioni uguali, che, per la carestia, erano esigue e più che togliere, solleticavano la fame. Ma con questo provvedimento il Senato ne prese un altro. Si valse del diritto di po­ter armare navi e ne armò cinque, munite di artiglierie, sotto il comando di un nobi­le don Francesco Di Giovanni, e di un borghese don Carlo Laganà, per andare in cerca di grano, anche con la forza. E inoltre eresse un fortino alla punta del Fa­ro, per obbligar le navi che attraversava­no lo Stretto, ad abbassar le vele e farsi vi­sitare, se mai trasportassero grano.
I cinque vascelli partirono fra gli au­guri di tutto il popolo, salutati sul porto dalla nobiltà e dal Senato in forma so­lenne, e dai bastioni con salve reali delle artiglierie: ma tutto ciò parve a don Luigi de L'Hoyo, come scrisse al viceré, cosa che sdegnava “l'animo di tutti e quello che più importa, la giustizia di Dio”, per­ché “contro ogni forma di procedura e di dovere”; e perché il Senato aveva as­soldata gente “della più facinorosa del paese” concedendo gradi e titoli; e le ciurme andavano “con pistole e stiletti alla cintura, con manifesto e deplorabile vituperio della giustizia”.
La flotta tornò, dopo aver invano battuto le coste del Tirreno, e atteso inva­no al largo dei caricatori le navi piene di frumento che doveva dar pane a Messina, tornaron vuote, come eran partite; non accolte dal popolo festante, ma dal silenzio disperato di una città affamata. Era il 23 marzo. La moltitudine che si accalcava al porto, aspettando i sacchi, cominciò a brontolare:
- E perché dunque tante spese di armamento, se non hanno saputo porta­re neppure un moggio di frumento?...
Qualcuno alzò la voce più forte, ac­cusò il Senato di tradimento; gli animi della plebaglia si accendevano; un orefi­ce, certo Giuseppe Martines, oriundo spagnuolo, sguainata una spada corta, co­minciò a gridare:
- Serra! Serra!... Morte alla cana­glia dei senatori!... Ammazza!... Am­mazza!...
Il grido trovò facile eco nell'animo della folla esasperata; cento, mille boc­che lo ripeterono con la collera della di­sperazione; cento mani si levarono minacciando.


Luigi Natoli: I cavalieri della Stella o La caduta di Messina. 
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 26,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 

Nessun commento:

Posta un commento