Non era molto alta; ma di
taglia ben fatta e aggraziata; bianca di carnagione, coi capelli biondi e due
grandi occhi azzurri, una bocca piccola e vermiglia. Lo sparato del collo,
lasciava vedere fra le trine del fisciù un seno rotondetto e fermo, che di
bianchezza vinceva le trine stesse. Le sue mani piccole, carnose, avevan le
dita lunghe, affusolate, come quelle di una statua. Ma quel che più incantava
era il suo sorriso, nel quale l’ingenuità e una innocente furberia si confondevano
insieme; era il suo sguardo or profondo e pensoso, ora pieno di dolcezza, ora
umido, tenero, errante dietro i sogni; ma sempre penetrante ed eloquente, come
i grandi occhi neri della donna di Sicilia.
Io avrei potuto invitare
come testimonio alle nozze il marchese Alliata e il barone di Brettenil; ma
l’idea di veder in propria casa quei signori spaventò talmente la sora Pasqua,
che ne abbandonai l’idea, e mi rivolsi al vicecurato don Arciera e a un altro
siciliano, mio buon amico, un certo Giuseppe Cazzola; e alla loro presenza il 20 aprile del 1768, nella parrocchia
del S. Salvatore in Campo, sposai la mia Lorenza.
Lorenza aveva un cuore sensibile e, non ostante
fosse bionda, il sangue ardente: libera da ogni soggezione, e sentendosi anzi
obbligata per sagramento ad amarmi, ella mi prodigava le più tenere carezze.
Lorenza, forse per l’amore che mi portava, e per l’ascendente che io avevo
preso sopra di lei, mi secondava; io mi accorsi che ella aveva una natura
facilmente educabile; e che, fine d’aspetto come era, avrebbe potuto
facilmente prender l’aria di una signora. Aveva poi una bella memoria e
imparava facilmente.
Io approfittai di queste
sue buone disposizioni per educarla.
Ella era vissuta sempre accanto alla gonna della
madre fra la casa, la bottega e la chiesa. Qualche domenica il sor Giuseppe la
conduceva in una osteria dei dintorni, fuori porta S. Paolo o fuori porta S.
Giovanni; e la notte di S. Pietro a veder la girandola.
Questo era tutto il mondo che essa conosceva.
Era stata allevata troppo religiosamente e fra
troppe pratiche divote, per aver l’idea di una vita più mondana; ed aveva
portato sempre vesti popolari, che ricevevano grazia soltanto dalla sua
persona, per non sentirsi impacciata nell’abbigliamento signorile che io le
imponevo, per la sua condizione.
Lorenza non era capace di
sentire grandi passioni; il suo cuore era leggero e vano, amava di piacere, ma
non vi si attaccava. Dopo esser convissuta in intimità con l’Alliata, non aveva
provato alcun dolore nel distaccarsene improvvisamente. Le sue simpatie a fior
di pelle; non le penetravano nel sangue. Ciò le permetteva di godere della
vita ciò che la vita poteva darle, senza logorarsi l’anima fra le ansie, le
smanie di una passione. Se dunque secondava il marchese Fontanazzo, gli era
per vanità, e perché ne aveva dei vantaggi.
Sebbene bionda, e sotto il
suo aspetto grazioso, gentile, casto, Lorenza aveva un cuore avido di piacere e
un sangue ardente di voluttà.
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