Famiglie toscane, così
numerose da formare vere colonie con proprie chiese e statuti, accanto a quelle
amalfitane e genovesi, vennero in Sicilia fin dal conquisto normanno, e per
tutto il secolo XV. Di Firenze furono gli Uberti, gli Amidei, i Baldo, i
Buondelmonti e altri; di Pisa gli Alliata, i Gambacorta, i Settimo, i
Vernagallo e moltissime altre. Della stirpe del Buondelmonti discendeva il
signor Tristano; nel quale pareva si fossero raccolte le doti migliori dei suoi
antenati.
Giovane, bruno, sbarbato
coi capelli a zazzera, il volto di una bellezza virile, il corpo vigoroso ed
elegante, pareva staccato da un affresco di Benazzo Gozzali.
Non essendo molto ricco,
aveva preso il mestiere delle armi, e giovinetto di diciassette anni aveva
militato in Africa, ed era stato alla presa di Tripoli nel 1510; e l'anno dopo
aveva seguito Don Garsia de Toledo e Don Pedro di Navarra alla sciagurata
impresa delle Gerbe, dove per l'imprudenza e la presunzione di Don Garsia che
vi lasciò la vita, gli spagnoli ebbero una memorabile rotta, che costrinse gli
avanzi dell'esercito a riprendere il mare.
Parte delle galere con un
migliaio di fanti esausti dalle fatiche, sotto gli ordini di Don Diego de Vera,
veleggiò per la Sicilia, come terra più vicina; dove speravasi trovare di che
ristorarsi e ricevere le paghe. Tristano Buondelmonti, non volendo seguire Don
Pedro di Navarra in Spagna, approfittò dell'occasione per ritornare in Sicilia,
rifiutando le offerte di avanzamenti.
Tanto militando sotto don
Consalvo, quanto sotto gli altri capitani, per la fermezza del carattere, la
dirittura dell'animo, il sentimento di giustizia, congiunti con l’affabilità dei modi e con la giovialità
dell'indole; e più di questo un coraggio provato, un’audacia e una baldanza che
gli facevano affrontare ogni rischio gli avevano fatto acquistare un grande
ascendente sui soldati, fanti o cavalieri che fossero. Vero è che, per le
solite rivalità nazionali, aveva dovuto più volte battersi con cavalieri
spagnoli, hidalghi boriosi quanto prodi; e ne aveva prese, ma ne aveva date il triplo;
e così aveva ristabilito i buoni rapporti, e rassodato il suo ascendente.
Nel ritorno dall'infelice
impresa, durante la navigazione, pur soffrendo come gli altri la fame e la sete
e il caldo – era di agosto, – aveva persuaso i soldati, che tumultuavano contro
gli ufficiali, ad aver pazienza. In Sicilia avrebbero ricevuto paghe,
alloggiamenti, ristoro. Il Viceré era uno spagnuolo, soldato anche lui, col
quale molti avevano militato, e naturalmente li avrebbe accolti fraternamente.
Dopo quattro giorni di
navigazione, le galere entrarono nella Cala. Tristano si affrettò a sbarcare, e
corse a casa sua, desideroso di sdraiarsi nel suo letto. Ma i fanti spagnoli
non trovarono nulla di quel che speravano. Il Viceré, temendo chissà che cosa
dalla presenza di quei mille fanti laceri, affamati, imbestiati dai disagi, non
volle che entrassero in città, e li fece accampare fuori le porte, tra il piano
di Sant'Oliva e il Castello a mare, sotto la sferza del solleone; né diede loro
pane, nè soldo.
Quei miserabili si
gittarono negli orti, strappando e divorando tutto quello che trovavano;
entravano nelle case dei contadini, rubavano e picchiavano quelli che si
opponevano. Lo spettacolo delle campagne già così ridenti, era lagrimevole: i
pianti giunsero al Senato, che si sdegnò e ricorse al viceré...
Luigi Natoli: Squarcialupo.
Pubblicato a puntate, in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Pubblicato per la prima volta in libro da I Buoni Cugini editori.
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00 - Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
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