Quella mattina aveva
lucidato l’armatura di Fioravante; elmo, corazza, schienali, bracciali e
cosciali di nichel, rabescati d’ottone dorato, risplendevano come argento e oro.
Fioravante era disteso su un’altra panca, i tre fili di ferro che gli reggevano
il capo e le braccia, congiunti insieme, gli davano una posa da guerriero
aspettante; la visiera alzata gli scopriva il viso immobile con gli occhi
fissi; la veste, corta al ginocchio, verde, color della speranza, ornata di tre
file di passamani d’oro, gli pendeva in pieghe simmetriche; e la spada, la
terribile Durlindana, che poi avrebbe ereditato Orlando, gli giaceva al fianco.
Oh, era un bel paladino Fioravante. Tutta la mattina don Calcedonio l’aveva
occupata con lui. Non conosceva risparmio per i paladini; egli vi spendeva
anche più che non potessero le sue forze; alcune armature gli costavano fino a
cinquecento lire: quella di Orlando per esempio, tutta dorata, con i gomiti, le
spallacce, le ginocchiere che parevano argento, e lo scudo con la croce d’oro,
che rifulgeva come un sole. Ma Orlando era il paladino maggiore, e conveniva
vestirlo meglio degli altri; la sua veste bianca pareva intessuta di gigli e i
ricami parevano una pioggia di botton d’oro. Peccato, che avesse gli occhi
storti!
Ma don Calcedonio non
pensava a lui. Pur continuando a contare le travi del soffitto, la sua mente
era piena di Fioravante e di Mambrino, del quale aveva nella mattinata ripulito
l’armatura. Questa era diversa da quella di Fioravante, perché Mambrino era
saraceno, e i saraceni, si sa, vanno vestiti diversamente. Hanno l’elmo senza
visiera, con un turbante attorcigliato e una specie di chiodo in cima, donde
scaturiscono le piume. E hanno le brache corte fino al ginocchio, e la
scimitarra.
Veramente i romanzi di
cavalleria che egli leggeva, dicevano che i guerrieri saraceni erano vestiti
come i cristiani; le stesse armature, come lo stesso linguaggio cavalleresco,
gli stessi usi; la differenza era che i cristiani giuravano per Gesù e per la
Vergine Maria, i saraceni per Macone, Maometto, Apolline, Belial. Ma don
Calcedonio vestiva i cavalieri cristiani come i giostranti del secolo XVI, e i
saraceni come i turchi dei secoli posteriori. Era tutt’uno per lui!
Aveva ripulita la corazza
di Finaù, figlio del re Balante, che regnava in Scondia; una bell’armatura,
tersa e lucente, che faceva abbagliare a mirarla, con un sole raggiante in
mezzo, e l’elmo sormontato da una pennacchiera rossa, che ondeggiava al minimo
movimento.
Quella sera Fioravante
avrebbe combattuto Finaù; era un duello mortale; si sapeva che Finaù sarebbe
stato ucciso, nondimeno il duello si presentava agli spettatori dubbio,
nonostante fossero in due a combatterlo, Fioravante e Tibaldo di Lima. L’armatura
di questo cavaliere era già pronta dal giorno innanzi. Era di ottone, e pareva
d’oro, ma rimaneva di minor valore di quella di Fioravante; anche il gonnellino
non aveva i ricami di quello; era pavonazzo, filettato di oro.
Luigi Natoli: Fioravante e Rizzeri.
Pagine 308 - Prezzo di copertina € 19,00 - Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
Nella foto: Paladini d'epoca, esposti al museo Pitrè di Palermo.
Nessun commento:
Posta un commento