Strana vita la sua, che
l’obbligava a stare con una spada in pugno. E tuttavia egli riconosceva che non
era un attaccabrighe: vivace sì, e insofferente di prepotenze e ingiustizie; e
se si batteva gli era appunto per questo. Facendo l’esame della sua vita si
trovava già con una ventina di duelli sulla coscienza. Gli ultimi sostenuti a
Parigi non avrebbero potuto essere più buffi, salvo uno, con quel capitano
Verger che aveva creduto di offrirsi come un successore di Montlimar e aveva
suscitato lo sdegno di Rosalia. Fabrizio aveva trovato ingiuriose quelle proposte,
il capitano gli aveva detto che non aveva bisogno di lezioni; Fabrizio aveva rimbeccato,
ne era corsa una sfida, si erano battuti, il capitano aveva ricevuto un colpo alla
testa che lo aveva tenuto per un mese a letto: Fabrizio un colpo al braccio e
se l’era cavata in quindici giorni.
Ma gli altri duelli? Li passava in
rassegna. Una volta si era battuto perché aveva riso al vedere un moscardino
con un enorme colletto che gl’imprigionava il mento, e così largo che il capo
gli si moveva dentro come la testa di una tartaruga nel guscio. Il moscardino
si era fatto rosso come un gambero, lo aveva investito con un “che c’è da
ridere imbecille?” al che egli aveva risposto: “rido perché ho trovato uno più
imbecille di me”. Il moscardino aveva alzato il bastone a spirale. Fabrizio gli
aveva buttato in faccia il vino di un bicchiere, sciupandogli la cravatta, la
camicia e il panciotto di seta bianca. E naturalmente si erano battuti. Povero
bellimbusto!... ci aveva rimessa un’orecchia, portata via da un colpo di
sciabola.
Un’altra volta, per un cane. Un signore batteva spietatamente un
cane, che non voleva seguirlo perché aveva la testa a una graziosa cagnetta.
Egli aveva fermato il braccio di quel signore, dicendogli: – “Oibò! Non è da
animo gentile battere così le bestie!” – Quel signore gli si era voltato
rabbiosamente: egli, col suo sorriso beffardo, si era scusato: – “non sapevo
che foste idrofobo”. – Quello a sentirsi preso per cane lo aveva sfidato lì per
lì. Si erano battuti; e Fabrizio lo aveva ferito nella mano, perché si
ricordasse di non picchiare più le bestie a quel modo inumano.
Un altro duello
aveva avuto per difendere un commediante che non godeva le simpatie di una
parte del pubblico della Comedie
Francaise. Uno spettatore lo interrompeva durante la recita con sghignazzamenti
e rifacendogli caricatamente il verso. Fabrizio gli aveva osservato puntamente
che non c’era carità a tormentare quel pover’uomo, e quello a rispondergli che
se non gli piaceva se ne andasse. Fabrizio aveva ribadito: – “Me ne andrò con
voi, signore, per avere il piacere d’insegnarvi la buona creanza”. L’altro, fattosi
più arrogante, s’era subito alzato per dare uno schiaffo, che era rimasto in
aria perché Fabrizio, più lesto, gli aveva fermato la mano, ripiegandogli il
braccio, e costringendolo a schiaffeggiarsi da sé. Erano stati separati, ma il
domani si erano battuti: l’avversario, confuso dal giuoco rapido e
insostenibile di Fabrizio, gli aveva voltato le spalle, e il ferro di questo lo
aveva colpito in una natica. – È il solo posto dove vi si possa colpire!” – gli
aveva detto Fabrizio, andandosene.
Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba
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